in Diario dal Mozambico

La stretta di mano

La stretta di mano qui ha tutta una storia. Ci si dà la destra e si appoggia la sinistra sul braccio o sul polso che si offre in saluto. Pare sia un atto di fiducia: in pratica se posso impiegare entrambe le mani per salutarti vuol dire che mi fido a tal punto da deporre il fucile. La guerra si è impadronita dei gesti.

Ieri sono andata a cambiare i soldi. Alle casas do cambio ci sono i sauditi, vestiti di tutto punto da sauditi. Le macchinone che invece sfrecciano su Avenida Marginal o sulla Mondlane, quelle sono degli indiani ricchi. Alettoni, motore a rombo di tuono, musica a palla, lucette blu. Ho anche fatto la prima lezione di danza mozambicana. Stiamo imparando la “maraquene”, penso. In pratica, si tratta di partecipare alle prove di un gruppo di musicisti-ballerini: riscaldamento, esercizi, salti, sequenze di passi acrobatici decisamente fuori portata. Ho il sospetto che per fare quei movimenti di bacino mi manchino delle vertebre (oppure ne ho troppe). Le ragazze che fanno lezione con me, quelle del gruppo, sono tutte bellissime. Però sudano anche loro.

A Maputo i numeri civici non sono consequenziali, ma chilometrici. Noi ad esempio siamo all’inizio di Avenida Maguiguana, eppure abbiamo il numero 122: evidentemente 122 metri prima inizia la via. Questo spiega perché si possa abitare al numero 3456 di Avenida Salvador Allende. Al 2030 di Avenida 24 di Julho c’è un negozio tutto bianco e infiocchettato che si chiama “Bomboniere”. Il superfluo non manca neppure dove non c’è niente.

Il nostro tecnico di computer si chiama Emersio e ci mette 72 ore a comprare una pen-drive. Da questa parte del tropico, mi dicono, non esistono i ritardi, solo una diversa percezione del tempo.

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