in Diario dal Mozambico

Lezioni di vita

A Milange le strade non hanno nome. Ci si orienta con gli avverbi: abito vicino, vado dietro, vengo da destra, sono passato lungo… c’hai presente la pompa di benzina?

A Milange ho imparato che ci sono gli alberi che fermano il fuoco e quelli che inquinano l’acqua dei fiumi, gli alberi che tengono lontane le zanzare e quelli che uccidono le formiche. John mi ha detto che l’acqua tonica fa bene contro la malaria perché contiene il chinino e Inroga, detto Lulù, l’unico mozambicano con la erre moscia, lui mi ha raccontato che quando un contadino si sposa è costretto a vivere dal suocero, a costruire lì la sua casa e lavorare una terra che non gli appartiene. Almeno finchè non ha fatto tre figli. Solo allora è libero di andarsene. Così spesso i contadini preferiscono non sposarsi.

Gli abitanti della Zambesia camminano per le strade stringendo all’orecchio le vecchie radio che Samora Machel ha distribuito durante la prima campagna elettorale e questo mi fa pensare che qui, forse, le cose si aggiustano ancora. A noi per esempio hanno riaggiustato il freezer. Ci hanno messo circa nove ore, ma hanno rimontato tutta la serpentina, quella con dentro il gas che si ghiaccia e fa il freddo. A me è sembrato quasi un miracolo.

Sulle acace rosse della Nyerere crescono i funghi. Quando me ne sono accorta mi è venuto in mente Marcovaldo. Anche lui scopriva un fungo sull’asfalto, mi pare. Il gelato alla stracciatella del bar Surf in Avenida 24 de Julho si chiama Straticello e il perché proprio non me lo so spiegare. Però è mangiabile.

Il tempo a Maputo è cambiato d’improvviso. Da un giorno all’altro è arrivato l’autunno e la nuova stagione mi ha colto alla sprovvista. Tanto che mi sono ammalata. Ci siamo ammalati un po’ tutti, a dire il vero, e io meno di altri. Quando ci si ammala in Africa come prima cosa si incrociano le dita (chi ci riesce anche quelle dei piedi). Poi, subito dopo, ancora con le dita incrociate, si fa il test della malaria. Vai, ti pungono il dito e nel giro di un’ora hai il risultato. Positivo o negativo. Quindi si comprano le medicine in farmacia. Le farmacie sembrano uguali identiche a quelle di Torino o Parigi, ma non lo sono. Le pillole, ad esempio, te le vendono sciolte. Puoi comprarne una, due, cinque e loro te le mettono in sacchettini gialli, come se fossero spezie. Due aspirine e qualche chiodo di garofano, grazie. I medici pare amino prescrivere paracetamolo e amoxicillina, qualunque morbo tu abbia. L’Aulin non deve essere ancora arrivato. Quando arriverà lo venderanno, sicuro, bustina per bustina.

Il giornale dell’ultima settimana riportava due notizie che le ho rilette tre volte stropicciandomi gli occhi perché non mi sembrava possibile nel ventunesimo secolo. Un uomo è stato mangiato da un coccodrillo mentre faceva il bagno in un laghetto di una riserva naturale e una donna è stata calpestata a morte da un elefante mentre raccoglieva radici nel mato. Storie che sembrano favole di Esopo, vite che sembrano leggende. Ne ho sentite già alcune. C’è quella che racconta della duna che inghiotte chiunque fa fatica a salirci e quella che parla della iena, che quando arriva vuol dire che sta per morire qualcuno di cattivo. Tra i contadini di Macaneta si narra che una volta un uomo rubò una capra. Quando il capo villaggio interrogò gli abitanti per sapere chi fosse il responsabile, il ladro parlò con voce di capra, svelandosi a tutti come il responsabile del furto. Per questo, pare, nessuno nei dintorni si azzarda più a rubare.

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