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Marketing e Linux ecco il nuovo scout

Alle spalle un passato da medico, Esperto di Cooperazione allo Sviluppo e una cattedra alla Bocconi, Eduardo Missoni è l’attuale Segretario Generale del WOSM, l’Organizzazione Mondiale del Movimento Scout con sede a Ginevra. Lo abbiamo incontrato a poco più di due anni di distanza dall’entrata in carica e alla vigilia della riunione annuale del World Scout Committee, l’organo esecutivo del WOSM.

In un ufficio sovraccarico di foto di gruppo, gagliardetti e fazzolettoni multicolori, ci parla del nuovo lavoro con entusiasmo, rigore e convinzione: l’urgenza di un ripensamento e aggiornamento dell’Organizzazione che ridia vigore al metodo educativo inventato da Baden Powell, la necessità di tenere il passo rispetto a una società dell’immagine esigente e impietosa, l’attenta e premurosa conservazione di un’identità originaria ancora capace di interpretare il mondo e, soprattutto, il difficile e ormai ineludibile confronto con il mercato. Riflessioni importanti alle quali Missoni non si sottrae per mandato, ma anche per una certa, naturale propensione alla sfida.

A due anni dalla nomina, è possibile un bilancio?

Quando sono arrivato, l’Organizzazione stava attraversando una profonda crisi di governance, di indirizzo, di coesione. Il Segretario precedente, si diceva, si era dedicato molto alla rappresentanza del Movimento e poco alla gestione. La nuova guida doveva essere un manager forte, più che un ambasciatore. Dopo un inizio comprensibilmente difficile, fatto di cambiamenti di personale e innovazioni organizzative (in due anni l’età media del personale esecutivo è stata abbassata di 12 anni), posso dire che adesso si sente un grande fermento. In cantiere, tra le tante cose, c’è la preparazione di un Rapporto Mondiale che offra ogni anno la visione e le risposte dello Scoutismo quale attore della società civile, l’Istituzione di un Comitato chiamato ad attualizzare il metodo Scout, e soprattutto la preparazione del Centenario del 2007.

Con un esercito imponente il volontariato è un «gigante buono» che sta vivendo una stagione di fortissimo dinamismo. Con qualche «vizio di forma». Il volontario, afferma qualcuno, è un altruista egoista, alla ricerca di sfide, esperienze utili per una futura carriera e la possibilità di fare la differenza. L’Associazione degli scout inglesi parla addirittura di persone che «attribuiscono la stessa importanza a ciò che danno al volontariato e a cosa ci guadagnano». La retorica della gratuità ha i piedi d’argilla? La soluzione è un volunteer management sempre più professionalizzato?

Quando nel 1979, appena laureato, ho iniziato a fare il medico in Nicaragua ero un «volontario in servizio civile nella cooperazione internazionale», qualifica che in Italia, per legge e creando una certa ambiguità, non riunisce in sé le caratteristiche di gratuità, spontaneità e disinteresse che ci si aspetterebbe dal volontariato. Il volontario della cooperazione è regolarmente retribuito, percepisce integrazioni e indennità. Per quanto mi riguarda, sono partito spinto dall’illusione, più o meno giusta, di poter dare una mano, da una genuina volontà di contribuire alla solidarietà internazionale, ma anche con la consapevolezza di poter «guadagnare» in termini di esperienza umana e opportunità professionale. Ho l’impressione che oggi, di fronte ad una crisi occupazionale che lascia poche alternative, il volontariato diventi una strada per inserirsi nel mondo del lavoro, un passaggio pianificato in modo più opportunistico, un investimento in vista di un qualche sbocco professionale. Ma fatico a vedere una contraddizione tra passione e opportunità. Il volontariato non è martirio, e al volontario, oltre allo spirito solidale, va richiesta una competenza che, per essere davvero tale, deve comprendere conoscenza, esperienza e motivazione. Non c’è scandalo in questo.

Il Movimento Scout comprende oltre 38 milioni di aderenti in 155 paesi. Come e perché questa capillarità diventa agente di cambiamento?

Lo scoutismo è un Movimento educativo. Si aggiorna, interpreta i tempi e soprattutto, come diceva Baden Powell «ascolta i ragazzi» e, devo aggiungere, le ragazze. Non è un movimento di pressione come il WWF o Amnesty International. Punta a cambiare la persona, a rendere i suoi ragazzi dei cittadini responsabili, impegnati nella trasformazione del mondo secondo gli ideali espressi dalla Promessa e dalla Legge, cioè il dialogo, il rispetto della natura, la lealtà, la fiducia nel prossimo, il sostegno alla pace, la difesa della giustizia sociale, l’armonia fra persone, culture e religioni diverse, l’uso attento delle risorse… Senza scegliere di battersi per uno di questi temi, il Movimento opera per una presa di coscienza che passi attraverso l’esperienza, la pratica, la dedizione. Sono i ragazzi, dunque, i veri agenti del cambiamento. Compito del WOSM, che è al servizio del Movimento, è sostenerne il cammino nella costruzione di un mondo migliore.

Quanto pesano le diverse vocazioni nazionali o regionali del più grande movimento giovanile al mondo?

Il carisma dei vari gruppi scout è molto diverso. In alcuni Paesi l’identità nazionale è molto esibita e questo sembra in conflitto, ad esempio, con il principio di solidarietà internazionale. Il sistema anglosassone tende a promuovere gli skills, la capacità di fare, la competizione e, alle volte, un certo rambismo. L’impresa non è uno strumento per educare, ma un fine. In Asia il Movimento risente dell’influenza coloniale ed è molto irrigimentato, con marce, trombe, medaglie… Lo scoutismo latino, invece, compreso quello italiano, ha una vocazione più sociale. Ma il Movimento è unito in un modo quasi misterioso. Non uniforme né omogeneo, ma tenuto insieme dalla condivisione di valori. L’idea della fratellanza è più forte delle differenze.

Il metodo scout non è neutrale. Si fonda su una visione del mondo nella quale rientra un chiaro riferimento ai diritti umani, alla democrazia. C’è chi guarda con un certo sospetto a questa impostazione, arrivando a parlare di fondamentalismo e imperialismo dei diritti umani, o ancora di un globalismo giuridico strumentale e quasi sempre punitivo…

Dal momento della sua prima sperimentazione, lo scoutismo ha sempre preso posizione a favore dei diritti umani, della democrazia, della pace, incorporando tali temi nel suo DNA e giudicandoli incontestabili. Il rischio di «esportarli» come parte di una visione pre-confezionata ed esogena non esiste, perché nello scoutismo non si insegna un valore o un diritto, ma lo si propone, lo si vive e solo dopo averlo vissuto lo scout decide se farlo proprio o respingerlo.

La «Priority» numero 7 della strategia mondiale per lo Scoutismo dice: «Una comunicazione efficace è vitale». Le organizzazioni non profit devono imparare che vendono un prodotto e devono imparare a venderlo? Qual è la posizione dello scoutismo rispetto al fund raising, al marketing e alla scelta dei propri partner commerciali?

Lo scoutismo mondiale è sempre stato molto diffidente rispetto alla ricerca di fondi che non fossero le quote di adesione o i tradizionali auto-finanziamenti. Al mio arrivo il budget era costituito per il 75% dalle iscrizioni dei membri, per 23% dal contributo della Fondazione mondiale dello Scoutismo e per una minima parte da piccole attività di fund raising.

Se il Movimento vuole crescere e rispondere alle nuove esigenze sono necessarie nuove alternative di mobilizzazione di risorse, incluse alcune operazioni commerciali. Attualmente siamo impegnati, insieme alla Interbrand Zintzmeyer, nell’elaborazione di una innovativa piattaforma di rilancio del marchio scout. Un’operazione da mezzo milione di dollari. L’immagine è funzionale al marketing dello scoutismo. Dato l’alto valore sociale del nostro marchio, prima di siglare una qualsiasi partnership richiediamo però alla controparte determinati standard di responsabilità sociale: abbiamo stilato un codice etico e ci riserviamo il diritto di scegliere – come per Bulgari che si è schierato contro i diamanti insanguinati – e di escludere – come per la Coca Cola, produttore di soft-drink complici della diffusione dell’obesità tra i giovani, secondo quanto rilevato dall’OMS. È impensabile trovare partner che corrispondano a tutti i nostri requisiti ma dato che vogliamo cambiare il mondo, siamo anche disposti a «venire a patti con il diavolo» se nel farlo questo decide di tagliarsi un corno, di cedere su qualcosa.

Parlando alla Conferenza Europea Scout del 2004 hai sottolineato come «in accordo ai nostri principi e ai nostri valori saremo in prima linea nell’esplorazione e nell’adozione di tecnologie universalmente accessibili». C’è un modo «scout» di usare il computer?

Sì, l’impiego del software libero, che è perfettamente in linea con il pensiero scout. Il World Scout Bureau utilizza da due anni tecnologie open source e standard aperti, adottando una policy che sarà esaminata nei prossimi giorni dal Comitato, in vista di una sua promozione a livello mondiale. Ovviamente il nostro metodo risponde a criteri di appropriatezza ma anche di qualità: se un programma che ci è utile non esiste in piattaforma aperta, lo compriamo proprietario. Il WOSM è addirittura distributore per l’Europa dell’open source NeoOffice, realizzando questo servizio con tutti i costi a carico nostro e tutti i proventi ad intero beneficio della comunità degli sviluppatori del software.

Pubblicato su «Vita non profit» il 30 giugno 2006

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