in Vivere altrove

Ai margini

Una ricerca racconta la vera storia dei Rom

6.jpgNé nomadi, né stranieri, né zingari. L’indagine che la Caritas ambrosiana e il centro Iniziative e Studi sulla Multietnicità (ISMU) hanno condotto, nel corso del 2006, sugli insediamenti di Rom o Sinti in Lombardia – e che anticipiamo, in attesa della sua pubblicazione a fine gennaio – ha il pregio di mettere i puntini sulle «i», sgombrando, in molti casi, il terreno dalla spessa coltre di equivoci e pregiudizi che da sempre nutre l’immaginario collettivo, consegnando un mosaico composito di gruppi sociali, tra loro diversi per lingua, nazionalità e religione allo spazio falsato e anonimo dell’alterità. Un ipotetico «loro» da contrapporre ad un «noi» diffidente e disinformato.

Trasformare le minoranze Rom e Sinti in una massa indistinta di ladri clandestini, e i campi nomadi in spazi extra-territoriali abusivi e sporchi, spiega Maurizio Ambrosini, curatore insieme ad Antonio Tosi, della ricerca, è, oltre che una scusa, «una facile scorciatoia». «Appare invece chiaro che si tratta di popolazioni non più nomadi, ma sedentarizzate o in via di sedentarizzazione, composte anche di cittadini italiani, e pertanto non immigrate, ma tali da formare una minoranza interna senza territorio, senza riconoscimento e senza tutela». Percepiti dalla società maggioritaria e dalle sue istituzioni come estranei, irregolari e dunque «intrattabili» nei termini delle tradizionali politiche sociali, i Rom sono condannati dall’ambiguità e dalla reticenza delle leggi a status giuridici incerti: in una stessa famiglia possono talvolta convivere individui dotati di permessi di soggiorno per protezione umanitaria, rifugiati, richiedenti asilo, apolidi, immigrati regolari e parenti arrivati in seguito a ricongiungimento.

Le comunità prese in esame dall’indagine sono il campo comunale di via Novara e il campo spontaneo di via San Dionigi, entrambi a Milano, il campo di via Monte Bisbino, un villaggio edificato spontaneamente su un terreno di proprietà e abitato per lo più da Rom serbi, a Baranzate, il campo di Sinti italiani di Voghera e alcuni insediamenti sparsi nelle province di Mantova e Cremona.

In tutti, commenta Ambrosini, «ogni giorno si assiste ad una lotta incessante tra condizioni strutturali prossime alle favelas delle megalopoli del terzo mondo (servizi igienici insufficienti, mancanza di fognature, inadeguatezza della raccolta dei rifiuti) e i tenaci tentativi da parte degli abitanti di rendere più accoglienti e vivibili gli spazi disponibili, di ingentilirli, trasformarli in vere case, farne luoghi in cui sia possibile recuperare una qualche dimensione comunitaria». «Gli ambienti interni si sono sempre rivelati ordinati e puliti » spiega Giovanni Semi, responsabile del caso-studio di via Monte Bisbino. «La sensazione generale è che ci sia sempre un cospicuo investimento economico, simbolico ed affettivo negli spazi privati».

La categoria «Rom» – che si vuole sporca per definizione – si sgretola dunque di fronte a questo sforzo collettivo di avere un quartiere «a posto», anche se oggettivamente anomalo rispetto alle zone residenziali circostanti. Così come si sgretola l’idea di un mondo «Rom» omogeneo, coeso, con gerarchie consolidate e leadership riconosciute. «I conflitti sono frequenti e spesso endemici» spiega Ambrosini «e la vita negli spazi angusti e precari non fa che alimentarne di nuovi ogni giorno. Ogni famiglia tende a decidere per proprio conto, in base ai propri interessi e fatica a dare credito a figure esterne di capi».

Persino il rigido maschilismo dei Rom esce dalla ricerca «intaccato e circoscritto ad aspetti che lo confermano simbolicamente, ma lo svuotano nella sostanza» a favore di un protagonismo femminile che fa delle donne l’ossatura dell’organizzazione sociale: «sono loro che tengono insieme le famiglie, presiedono alla vita quotidiana e amministrano in modo oculato le risorse disponibili».

Quanto alla distanza volontaria dal lavoro e alla propensione «naturale» verso le attività illegali o la questua, gli autori dell’indagine restituiscono una lettura più articolata, facendo dei Rom, storicamente arrotini, calderai e commercianti di cavalli dei «sopravvissuti alla fine delle attività artigianali e al declino dello spettacolo viaggiante», che cercano, non senza difficoltà (in primis la mancanza di un permesso di lavoro), di riconvertirsi ai ritmi e alle regole della società industriale e post-industriale, svolgendo per lo più attività di recupero e rivendita di materiali ferrosi, piccoli trasporti e traslochi.

I numeri
Combinando i dati della Polizia e i risultati dei questionari distribuiti dall’Osservatorio regionale sull’immigrazione ai diversi Comuni, l’indagine condotta dall’ISMU e dalla Caritas tenta anche una mappatura degli insediamenti Rom e Sinte in Lombardia e della loro entità. Stando alle cifre, avanzate, va detto, con una certa circospezione, esisterebbero tra i 290 e i 350 insediamenti («irregolari permanenti», «regolari permanenti» e «regolari temporanei»), abitati da circa 9600-11000 persone. 45 di questi insediamenti (per un totale di 4130 persone) sono a Milano, 80-110 (tra le 2300 e le 3100 persone) nel resto della provincia. A questi valori vanno aggiunte le persone che abitano in case convenzionali: tra i 1000 e i 1400 individui, cui andrebbero sommati circa 1200 «giostrai». La presenza totale si aggira dunque sulle 12-13000 unità.

Roulotte e camper risultano ancora, con l’eccezione di Milano, la sistemazione prevalente e sono presenti nel 76% degli insediamenti, ma si calcola che i terreni privati agricoli acquistati da famiglie Rom nel Nord Italia per la costruzione di veri e propri villaggi con case in muratura ammontino a 5000. Un classico esempio di questa tendenza, che ha preso le mosse a partire dagli anni Ottanta e segnala la volontà di uscire dalla logica del classico «campo nomadi», è il caso di via Monte Bisbino, un vero e proprio «villaggio» in stile «country-disneyano», animato da un’intensa vita locale e percepito dagli abitanti come uno «spazio durevole e “amico”».

Originale dell’articolo pubblicato su «Vita» il 19 gennaio 2007

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