in Vivere altrove

Vivere altrove… I rientri

viverealtrove_20060119.jpgUccelli migratori, pinguini imperatori, piccioni viaggiatori. Fate un po’ voi. Le metafore zoologiche per descrivere chi vive all’estero si sprecano come le bottigliette di Ceres lungo il viale del Valentino una sera d’estate. Sta di fatto che in questo quadretto alla Licia Colò la stagione delle api e dei pollini coincide guarda caso con le grandi traversate, meglio se transoceaniche.

Il risveglio dal letargo invernale porta con sé una specie di richiamo istintivo e primordiale verso il nido. Questione di dimostrare a parenti e amici che si è sopravvissuti all’inverno, si mangia a sufficienza, non ci si è tinti i capelli di viola e ancora ci si ricorda qual è il nome del sindaco.

Le visite torinesi, pianificate con l’acribia di un certosino, sono talvolta così simili a un incubo che alcuni, quando rimpatriano, preferiscono farlo in incognito. Dribblando così il gioco all’incastro, la maratona emotiva, l’abbuffata di volti, cene, torte e caffè, la processione di appartamenti, salotti e giardini, l’interrogatorio di Come stai-cosa fai-dove vai-lo sai che alla quale tu, come molti altri, ti concedi con rassegnata pazienza, dando prova di un’impensabile capacità di sintesi e di un’inattesa energia. Come spremere sei mesi di vita sociale in un week end. Quasi che per una parte di mondo apparissi e scomparissi dal venerdì alla domenica come la fatina delle fiabe. Il sipario si apre e si chiude così in fretta che non fai a tempo a capire cosa accade. Sai solo che ne esci sfinita, esausta, inappagata, con l’impressione di aver detto poco e soprattutto di non aver domandato abbastanza.

I rientri torinesi hanno il potere di far riaffiorare in te qualcosa di irrisolto. Un misto di orgoglio, invidia, gioia e amarezza, rimpianto e distacco che è difficile da confessare, figurarsi da spiegare. Dentro c’è una nuova vita, i giorni passati in viaggio, il desiderio di abitudine, l’ansia di condivisione.

Stare un po’ di qua e un po’ di là è come prendere «alla carta» ciò che di buono offrono due diversi menù, dice un amico da tempo a Parigi. Qualcuno però, finita la cena, deve pur sempre pagare il conto.

Pubblicato su «La Stampa-Torinosette», venerdì 30 marzo 2007

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