in Vivere altrove

Vivere altrove… Un incredibile distanza

viverealtrove_20060119.jpgA Marco
Ginevra è una Babele di lingue e nazionalità. Se salite su un autobus o passeggiate lungo il lago sentirete rimbalzare nell’aria parole inglesi, portoghesi, arabe, tedesche, qualche suono scandinavo o est-europeo, e ovviamente qualche espressione francese, pronunciata però con una dozzina di accenti diversi. Il primo colloquio di lavoro l’ho fatto con un irlandese, il secondo con un indiano, e la prima conversazione in un supermercato l’ho avuta con un’afghana che mi chiedeva (credo) a cosa servivano le pinzette per le sopraciglia.
Le comunità che popolano la città sono numerose e compatte. Ci sono i portoghesi che hanno il monopolio delle pulizie dei palazzi delle organizzazioni internazionali, gli arabi che tengono d’occhio compagnie aeree e finanze, e si muovono sempre in gruppo e i filippini, uno degli zoccoli duri della non-svizzerità ginevrina. La domenica pomeriggio si trovano per la Messa nella chiesa davanti alla stazione di Cornavin e animano i canti.
Nella «Guida Galattica per gli autostoppisti» di Douglas Adams, proprio all’inizio, i due protagonisti, Ford e Arthur, sono in un bar a godersi l’ultima birra prima che i Vogon vaporizzino la terra. Ford non è umano e il vecchio Adams spiega che «nei momenti di grande tensione, tutte le forme di vita esistenti emettono un infinitesimo segnale sublimale. Il segnale non fa che comunicare il senso preciso dell’enorme distanza che separa l’essere che lo emette dal suo luogo di nascita. Sulla Terra è impossibile essere più lontani di venticinquemila chilometri dal luogo di nascita, per cui i segnali emessi sono talmente deboli che non si possono notare. Ford in quel momento era sotto forte tensione, e il suo luogo di nascita, vicino a Betelgeuse, era lontano seicento anni luce. Il barista barcollò un attimo, colpito da quello scioccante e incomprensibile senso di distanza».
Il coro filippino di Notre Dame canta in inglese, ma ogni tanto si concede un inno nella lingua natale. Allora le voci, di solito un po’ stridule, si fanno magicamente intonate, le schiene si drizzano e i polmoni si dilatano. Se vi capita di ascoltarli, non potrete che essere colpiti da «quello scioccante e incomprensibile senso di distanza».

Pubblicato su «La Stampa», venerdì 25 maggio 2007

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