in Vivere altrove

Vivere altrove… Le parole sono importanti

viverealtrove_20060119.jpgLa permanenza all’estero ti obbliga ad uno studio comparativo dei prodotti esposti sugli scaffali dei supermercati assai più meticoloso ed attento di quanto un animo discount come il mio non sia tentato di autorizzare. E malgrado, dopo un ragionevole lasso di tempo e un regolare esercizio di degustazione, persino io riesca ormai ad aggirarmi tra bottiglie di Bordeaux e Saint-Emilion con ostentata e fiera consapevolezza, certi prodotti (e, diciamolo pure senza pudore altermondialista, certe marche) faticano a penetrare il mio universo consumistico-culturale. Ne va del mio immaginario. Il caffè Mastrolorenzo, ad esempio, che in tutto l’esagono è sinonimo della più pura e genuina italianità, o la pasta Panzani. Ma dico io, l’avete mai sentita? A me ricorda gli spaghetti mozambicani Polana, marroni di gusto e di colore. Chiudo, infine, la mia lista della spesa, con alcuni intimi dettagli dei quali mi scuso in anticipo. Ma vi sembra che decidere di chiamare un salva-slip per signore «Vanja Kotydia» sia una mossa di marketing intelligente? A me non tanto. Microperle di aloe vera o meno, io ogni volta ho come l’impressione di infilarmi nelle mutande un personaggio di Guerra e Pace, o un idraulico estone.
E a proposito di prodotti e consumi globali scopro con stupore che nel resto del mondo la Cameo si chiama Dr Oetker, dal nome del fondatore dell’azienda. Temendo l’«effetto Guerra e Pace» gli esperti tedeschi hanno pensato a qualcosa di più orecchiabile. Problema che non sembra invece aver sfiorato la mente del signor Ingvar Kamprad, patròn dell’Ikea, che ha dato planetariamente ai suoi mobili nomi composti da sole consonanti, in modo che per pronunciarli non sia neanche necessario aprire le mandibole. Solo di recente ho poi appreso (apriti cielo) che Ektorp, Karlstad, Udden e compagnia bella, linguisticamente parlando, hanno anche un significato. Gli articoli per il bagno, ad esempio, corrispondono a fiumi, laghi e baie scandinave. I tappeti, chissà mai perché, sono paesini danesi, mentre le tende rimandano alle forme geometriche. Ah, bhè.

Pubblicato su “La Stampa”, venerdì 6 dicembre 2007.

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Commento

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  1. Quando si è all’estero si cerca sempre e cmq “Italianità”.
    Ricordo che dopo 40 giorni in Mozambico mi sono laciato in una pizzeria italiana a Quelimane,dove ho divorato una pizza orrenda .La soddisfazione più grande non è stata la pizza (faceva schifo),ma sentir parlare romanesco il proprietario.
    Naturalmente ho evitato di chiedere la provenienza delle mozzarelle,avevo paura della risposta..