Son passati tre mesi. Il tradizionale «periodo di quarantena» è finito e nessuno m’impedirà di buttare giù, a casaccio, qualche riflessione ex post sul parto all’estero. La maternità è, in effetti, un altro di quei capitoli per i quali il mondo scruta noi italiani con occhio vitreo, a metà tra l’incredulo e l’imbarazzato. Va detto che per una strana coincidenza astrale (o per un semplice dato anagrafico) tra ottobre e dicembre ha partorito praticamente tutto il mio entourage, sabaudo e non. Testimoni di nozze, compagne di liceo, colleghe scout, amiche di cane, di piscina, di montagna… Il che mi ha permesso, tra l’altro, di seguire passo passo ogni stadio procreativo – dalla prima ecografia alla visita del primo mese dal pediatra – come stessi frequentando un corso di sociologia medica comparata. Ed ecco alcune riflessioni. Nel Paese dei figli unici impera una specie d’insidiosa ed insistente «mistica della maternità», e un’altrettanto impenitente difesa della sua assoluta naturalità. Dove la Natura è, ovviamente, madre e, naturalmente, benigna. Ne deriva che fare figli è naturale (anche a quarant’anni), che il parto è naturale, il dolore è naturale, l’allattamento è naturale. Corollario di questa a dir poco semplicistica impalcatura ideologica sono il disappunto di fronte a chiunque osi anche solo evocare un qualche tipo di anestesia e la disapprovazione verso la malcapitata che, incautamente, decida (o sia costretta) a non allattare. Pena, manco a dirlo, il pubblico ludibrio. «Come credete facessero le nostre nonne?» è in genere il commento che segue alla magica parola: epidurale. Che poi, tra parentesi, è una pratica cui nel resto del mondo sviluppato accedono (senza la minima esitazione) il 98% delle partorienti. Ragazze, pensate a come fanno in Africa! Pare incalzino sicure molte ostetriche italiane, con l’intento di tranquillizzare. In Africa. Le donne partoriscono, certo. E l’epidurale non sanno neanche cos’è. Ma, scusate, da quando l’Africa è diventato un paese all’avanguardia sul piano medico? All’anestesista che a Ginevra trafficava dietro la mia schiena ho cercato di raccontare le reticenze tutte italiane verso il parto indolore. «Perché dal dentista sì e in ginecologia no?» è stata la domanda. Mi sembra non faccia una piega. (continua)
Pubblicato su “La Stampa“, venerdì 25 aprile 2008.