in Vivere altrove

Vivere altrove… e votare

viverealtrove_20060119.jpgOk. Dopo mesi fitti fitti di campagna elettorale, di elezioni ne abbiamo tutti a basta. Mi scuso dunque in anticipo se, ritornando sull’argomento, rischio di urtare la sensibilità dei più. La recente esperienza mi ha però spalancato le porte e le finestre del voto all’estero. Che, diciamolo pure, ha tutt’altro sapore. Per intenderci, nessun italiano residente all’estero si alzerà mai la domenica mattina, farà colazione al bar, comprerà il giornale, scambierà due battute all’angolo con un conoscente, salirà le scale della Manzoni o dell’Alfieri di fronte casa (in un misto di dolce amarcord e purissimo orrore), seguirà sperduto le indicazioni del seggio di fronte ai carabinieri con le paste e consegnerà documenti di identità e cellulare allo stresso scrutatore di sempre. Nessun italiano residente all’estero entrerà mai in cabina, spiegherà i fogli con attenzione per non sovrapporli, e, prima di lasciare l’aula, potrà rivolgersi al presidente del seggio domandando con garbo “Qual è l’affluenza fino ad ora”?
Il rituale del voto, che per me ha sempre avuto qualcosa di sacro e ineffabile, cambia radicalmente. Innanzitutto precede quello ufficiale di qualche settimana. E così ti ritrovi tuo malgrado a partecipare alle ultime affannate ed accese discussioni pre-elettorali quando per te, ormai, il dado è bell’e che tratto. Poi, è una specie di kit fai-da-te. Il Tutto Scarry della Repubblica Italiana. Nel bustone del consolato c’è infatti il tuo certificato elettorale, da ritagliare lungo l’apposita linea. C’è la lista dei candidati (tra cui è facile trovare nomi assurdi: quest’anno uno, lo giuro, candidato nella lista di Di Savoia Emanuele Filiberto “detto Emanuele Filiberto”, tal Bennaro Franco “detto zio Frank”) con i simboli e tutto il resto. Tu leggi, rifletti, tracci la crocetta con una biro qualsiasi (e non la classica matita), lecchi ben due buste (una anonima e l’altra con l’indirizzo) con la tua saliva e lasci il tutto sul tavolo, prima di portarlo alla posta il giorno dopo. E’ tutto talmente asettico e distante che quasi ti vien voglia di costruirti l’urna in cartoncino e cantarti, in sottofondo, l’inno nazionale.

Pubblicato su “La Stampa“, venerdì 6 giugno 2008.

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