in Vivere altrove

Vivere altrove… ma lentamente

viverealtrove_20060119.jpgNon portano l’orologio e se vogliono sapere che ore sono, si limitano a leggere le ombre delle cose. Quarto d’ora più quarto d’ora meno. Tanto, cosa importa, a chi ha deciso di prendersela slow e dilatare il tempo? Nel mondo sono milioni le persone che, in un modo o nell’altro, hanno scelto di rallentare. Scalare la marcia. Smettere di correre e di fingersi instancabili, liberarsi dall’ossessione di essere «connessi», scegliere un altro ritmo, un’altra cadenza. Un vivere altrove che non richiede necessariamente un posto diverso, ma solo un diverso atteggiamento. Qualcuno, usando il termine coniato dallo svedese Jörrgen Larsson, lo chiama downshifting. Per il New Oxford Dictionary significa «scambiare una carriera economicamente soddisfacente, ma evidentemente stressante, con uno stile di vita meno faticoso e meno retribuito ma più gratificante». Un cambiamento volontario e a lungo termine, che, disinnescando l’equazione tempo-uguale-denaro, porta verso una ragionata decrescita. Lavorare meno, guadagnare meno e consumare meno. Altri preferiscono voluntary semplicity, «semplicità volontaria»: vivere con poco ma meglio, in maniera più consapevole, preferendo la qualità alla quantità e dedicando il proprio tempo a se stessi e alle relazioni con gli altri. In Australia secondo un recente sondaggio, negli ultimi dieci anni ha «rallentato» il 23 per cento della popolazione. In Gran Bretagna si parla di oltre due milioni e mezzo di persone. Uscire dalla modalità fast-forward, riprendere fiato, svuotare le agende, diradare gli incontri, le telefonate, gli sms. «Per almeno 150 anni il ritmo del mondo è stato in costante accelerazione», scrive Carl Honoré, il profeta del movimento, che denuncia l’era della fretta, quella che ci impedisce di godere l’attimo, perché attendiamo sempre con impazienza l’attimo successivo. E’ settembre, e prima che tutto ricominci da capo, è davvero arrivato il momento di fare una pausa. Lunga, se possibile, il resto della nostra vita.

Pubblicato su «La Stampa», venerdì  12 settembre 2008.

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Commento

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  1. Mah, che dire, penso che sia poco sostenibile e sia un privilegio di pochi.
    Io non giro a mille, ma un pensierino a cosa succederà quando andrò in pensione, dove potrò contare quasi esclusivamente su quanto avrò risparmiato negli anni precedenti, lo faccio. Certo c’è sempre la possibilità che vinca al totocalcio, ma hanno complicato pure quello…
    Un saluto,
    Robi

  2. io ancora devo iniziare a correre che già mi sono rotto, quasi quasi rallento ancora di più e mi godo il cielo…