in Vivere altrove

Vivere altrove… girando il mondo in solitaria

viverealtrove_20060119.jpgSono salpati qualche settimana fa da Les Sables d’Olonne, nel golfo di Guascogna. Trenta capitani coraggiosi, tutti tra i quaranta e i cinquanta. Diciassette francesi, sette inglesi (tra cui due donne), due svizzeri, uno spagnolo, un canadese, un austriaco e un americano. Alla faccia di Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci. Nelle mani il timone di un veliero. Davanti, solo la linea dell’orizzonte e i quarantacinquemila chilometri di mare da inghiottire, senza scali e senza assistenza esterna, per mettersi in tasca il giro del mondo in solitaria.

I fortunati, quelli che ce la faranno senza incidenti di percorso, quelli che non scompariranno tra gli abissi oceanici o tra i ghiacci polari, se ne staranno tre mesi al timone, a cazzare la randa, mangiare cibi liofilizzati e parlare colle onde ed il vento a 60 km/h, per non dare completamente di matto. Cicli di sonno al massimo di quattro o cinque ore, perché gli iceberg non vanno a dormire mentre loro navigheranno tra il 40º e il 50º parallelo dell’Emisfero Sud e doppieranno il Capo di Buona Speranza, il Capo Leeuwin, il Capo Horn. Se non è «altrove» questo, mi vien da pensare mentre rabbrividisco davanti alla televisione franco-svizzera che da giorni non parla d’altro, stappando una bottiglia di champagne dopo l’altra.

Salpare per il Vendée Globe, dicono gli appassionati della regata, equivale a lanciarsi da un aereo con il paracadute bucato, o a guardare in faccia un fantasma. Che ci sarà mai da festeggiare? Nell’edizione del ’96 il canadese Gerry Roufs sparì per sempre nei vortici dell’Oceano Indiano e Bertrand de Broc dovette ricucirsi la lingua da solo. Eppure c’è qualcosa di più del semplice rambismo in un’impresa come questa, contraria a qualunque buonsenso. C’è il sapore del rischio, dell’avventura, dell’incognita, in un mondo che sembra pretendere solo controllo, continuità, sicurezza. C’è il gusto delle spedizioni d’altri tempi, della sfida, del perdersi. C’è, forse, solo un impulso, un richiamo, una forza irrequieta che ti dice «Parti!». Senza darti il tempo di pensare.

Pubblicato su “La Stampa“, venerdì 21 novembre 2008.

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