in Vivere altrove

Una specie di sistema di ridistribuzione dei beni

Una pigra domenica di settembre. Il sole, tiepido, velato da un sottile strato di nubi. Un paesino francese, minuscolo, ai piedi dei monti. Intorno, prati verdi, alberi verdi e placide mucche marroni. Il quadro, leggermente malinconico, fa da sfondo a uno dei miei appuntamenti preferiti. Qui li chiamano vide-greniers, letteralmente: svuota granai. Negli Stati Uniti li conoscono come garage sales, in Inghilterra come car boot sales. Quale che ne sia la declinazione linguistica, io li adoro. Vecchi scarponi da sci, improbabili cappelli da sera, servizi di piatti spaiati, centrini di pizzo, maglioni verde-mela, lampade da giardino, tigri di peluche, vecchi macinini da caffè, maschere da Zorro smangiucchiate.

A pensarci, è piuttosto impressionante constatare quello che la gente riesce a mettersi in casa. Per quanto mi riguarda, questi mercatini dell’usato sono un’occasione imperdibile. Vago felice da un bancone all’altro, frugando negli scatoloni, sfogliando libri e riviste degli Anni Settanta, accarezzando vecchi giacconi di pelle appesi ad attaccapanni di fortuna, aprendo e chiudendo con cautela porta gioielli di ogni forma e dimensione, infilando scarpe con tacchi vertiginosi come fossi Cenerentola. Ad attirarmi, in origine, deve essere stata l’aria da Balon. Col tempo, però, ho scoperto che questi appuntamenti sono molto più casalinghi, informali, e assai meno esotici (a meno di non considerare esotici i libri di cucina in svedese, o i corsi di Bibbia degli evangelisti dell’Oregon). E poi, in una zona come questa, dove le famiglie hanno minimo tre figli che parlano quattro lingue, l’assortimento di abiti per bambini e giocattoli e accessori è di quelli da scorta multigenerazionale.

Consideratela una specie di sistema di ridistribuzione dei beni, in cui si vende quanto basta per poter ricomprare e il denaro che circola vale quanto quello del Monopoli. Alla fine della fiera il granaio è sempre pieno, – non è svuotarlo l’obiettivo – ma il contenuto è magicamente cambiato. Che, considerati i tempi, non è poca cosa.

Pubblicato su “La Stampa” il 2/10/2009.

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