in Vivere altrove

Lontano è un posto che non esiste

«Lontano è un posto che non esiste». Non c’è che dire: sulle T-shirt alle volte si trovano grandi verità. Perché, in fondo, è vero: «lontano» è diventata una parola dai confini a dir poco indecisi. Nell’era di Google Earth e Street View, del nomadismo digitale e del turismo low cost, cosa può dirsi davvero lontano? Esiste ancora il viaggio? E chi è il viaggiatore? Filosofi e travel writer s’interrogano sull’argomento da tempo immemore, dando risposte altalenanti. Che lo si soddisfi online o offline, tutti concordano quantomeno sul fatto che l’impulso a viaggiare non sia cambiato dai tempi di Omero.

Spostamento emotivo, scoperta, reinvenzione di sé, esplorazione, fuga. Pico Iyer, reporter del «Time» e viaggiatore di fama, ha recentemente raccontato che se è vero che Internet ci mostra in anticipo ciò che vedremo dall’altra parte del mondo, questo renderebbe il viaggiare ancora più importante. Per vedere al di là delle apparenze, cogliere di un luogo i suoi silenzi, sperimentarne la complessità, verificare di persona immagini e resoconti di seconda mano. Pensare di sapere, dice Pico, può essere più pericoloso dell’ignoranza stessa e quella del mondo «piatto» e familiare, reso tutto uguale da comportamenti e brand globali, non è che un’illusione. «L’altrove è ovunque, e il mondo è ancora pieno di misteri» rassicura Pico, aggiungendo che anche un mondo disseminato di McDonald , Mtv e Sturbuck conserva la sua varietà. Perché a Kyoto i clienti di McDonald mangiano Mood-Viewing Burger per festeggiare il raccolto della Luna piena e nessuno nemmeno per un istante crederebbe mai di trovarsi in Kansas. Perché «vediamo forse tutti gli stessi film, ma in sostanza sono storie diverse».

E così, in Cina «Titanic » è un film sul sistema delle classi sociali, in Medio Oriente sul destino, nelle Filippine è più che altro una storia d’amore. Il rischio, insomma, non è che dappertutto ci siano le stesse cose, ma che noi pensiamo (o addirittura pretendiamo) che siano identiche. Fortunatamente non è così.

Pubblicato su “La Stampa” il 28/5/2010.

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