in Vivere altrove

Sono a casa quando

«Sono a casa quando ho dei fiori sul balcone. Sono a casa quando ho un fiume che scorre vicino. Sono a casa quando sento il profumo delle spezie cinesi e quando mangio la parmigiana di melanzane o annuso l’aria color lavanda. Sono a casa quando sento una musica che mi piace, quando bevo vino con gli amici. Sono a casa quando il vento soffia forte. Sono a casa quando mi siedo su una panchina di Regent’s Park a Londra o quando passeggio sul lungo pontile di Marina di Massa. Sono a casa quando faccio un pic-nic sul Lungo Reno di Germersheim, in Germania. Sono a casa quando mi riparo dal sole nelle viuzze ciottolate dietro la Sorbonne a Parigi o quando me ne sto con i piedi immersi nell’acqua gelida del ruscello dietro la mia casa a Ming Ye, in una lontana vallata cinese».

Ritrovo queste parole per caso, su un foglio di riciclo piegato dentro un quaderno, con dietro la stampa di oscuri versamenti fatti nel 2002. Le parole le ha scritte Susanna Chou, Susanna Mei Chen Chou per la precisione. Nonno paterno cinese, nonna pugliese, scopro. Susanna che vive a Torino, dove ha studiato, ma abita il mondo. Susanna, che non conosco, eppure, leggendola, riconosco. Susanna che ha viaggiato spostandosi dalla Cina al Piemonte, dalla Toscana al Veneto alla Francia, all’Inghilterra. Che spiega come, in cinese, l’ideogramma che corrisponde alla parola «casa» (jia) è formato da un «tetto» e dalla sagoma di un «maiale», perché cos’altro è una «casa», in fondo, se non un riparo contro la pioggia e la possibilità di un pasto caldo? Susanna, che sul mio foglietto riciclato, evoca la «casa» della madre – una vallata, i boschi, il profumo del tè tostato, la verdura in salamoia, i fermagli antichi della nonna, la carne essiccata, i crisantemi, il bambù. Una casa diversa dalla sua. Susanna, che si interroga, con me, sulla strana alchimia che rende «casa» un luogo lontano e esotico, ed «estraneo» un vicino di pianerottolo.

Pubblicato su “La Stampa” il 27/5/2011.

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