in Vivere altrove

C’era e non c’era una volta

C’era e non c’era una volta. Così iniziano le fiabe d’Armenia. Una frase augurale che nelle notti d’inverno, intorno al focolare, dispone all’ascolto.

C’era e non c’era una volta, il genocidio armeno, tenacemente negato. Un milione e 200 mila anime sterminate nel 1915. C’era e non c’era una volta, la Francia, che qualche giorno fa ha cercato di darsi una legge contro il negazionismo, «negando il diritto a negare», titolava il «New York Times ». C’era e non c’era una volta la Corte costituzionale francese, che nella patria della Liberté égalité fraternité ha giudicato quella legge contro il negazionismo incostituzionale, perché negando il diritto a negare, si nega anche la libertà d’espressione.

C’era e non c’era una volta, una cittadina vicino a Los Angeles, Glendale, chiamata «Little Armenia» perché lì si sono installati da anni i discendenti degli armeni occidentali scappati al massacro. Glendale, cittadina della diaspora, «mite e fantasticante », dove sopravvivi anche se non parli inglese. Ci sono la scuola armena, la libreria armena, la pasticceria armena, i ristoranti armeni, almeno sei giornali armeni e una tv via cavo con i talk-show in armeno.

C’erano e non c’erano una volta Anoush e Kohar, protagonisti dell’ultimo libro di Antonia Arslan, che sopravvivono per caso allo sterminio del loro villaggio e con l’unico bambino risparmiato dalla furia assassina e una coppia di amici greci, Makarios ed Eleni, salgono all’antico monastero in fiamme della valle di Mush, nell’Anatolia interna, e ritrovano il famoso Omiliario di Mush, un codice del 1202 con preziose miniature, che li accompagnerà proteggendo la loro fuga, ma senza lenire il dolore del non ritorno.

C’era e non c’era una volta una storia che rende giustizia alla Storia. Così incominciano le fiabe d’Armenia nelle notti d’inverno. Le stesse fiabe finiscono così: «Cadono tre mele dal cielo: la prima per chi ha raccontato questa storia, la seconda per chi l’ha ascoltata, la terza per il mondo intero».

Pubblicato su “La Stampa” il 9/3/2012.

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