in Vivere altrove

Non è vero che il mondo è piccolo

Scrivevi: «Un luogo non è mai solo “quel” luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati. Ci siamo arrivati il giorno giusto o il giorno sbagliato, a seconda, ma questo non è responsabilità del luogo, dipende da noi. Dipende da come leggiamo quel luogo, dalla nostra disponibilità ad accoglierlo dentro gli occhi (…). Dipende da chi siamo nel momento in cui arriviamo in quel luogo. Queste cose si imparano con il tempo, e soprattutto viaggiando».

Ho sottolineato questa frase a matita, piegando l’angolo della pagina. Sono dovuta partire, ripartire e ripartire ancora, con valigie a volte leggere a volte pesanti, per capire cosa intendevi. Per comprendere che è possibile abitare un luogo senza esserci mai stati, per imparare a posare il mio sguardo sul mondo reale, e fargli prendere vita.

Scrivevi: «Ho visitato e ho vissuto in molti altrove. E lo sento come un grande privilegio, perché posare i piedi sul medesimo suolo per tutta la vita può provocare un pericoloso equivoco, farci credere che quella terra ci appartenga, come se essa non fosse in prestito, come tutto è in prestito nella vita».

Quest’invito ad uscire allo scoperto, a vedere e a restare, a muoversi e a ritornare, è stato, è la mia bussola. Non è vero che il mondo è piccolo, insistevi. Il mondo è grande e diverso, e misurarsi con la vita può far male, ma vale comunque la pena. Ho visto, e ho sofferto l’India notturna, l’India dei treni, l’India che è e che non è in un gioco di specchi, identità, corpi, anime. Ho amato, senza respiro, Lisbona, e sentito, struggente, la nostalgia del futuro in Rua da Saudade. Scrivevi: «In quella notte ricevetti molte storie. Portai con me il romanzo e lo affidai al vento. Non so se fu un tributo, un omaggio, un sacrificio o una penitenza». Ciao per sempre Tabucchi, maestro di viaggio, maestro di penna, maestro di altrove.

Pubblicato su “La Stampa” il 6/4/2012.

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