in Vivere altrove

Ancora una volta, a fare la differenza, sono le persone

Altissimo, magro come un chiodo, una voce che sembra un tamburo e fa vibrare i vetri tanto è bassa, un pizzetto appoggiato sul mento come un cerotto. Federico ha passato gli ultimi sette anni in giro. Pakistan, Chad, Sudan, Congo Brazzaville, Uganda.

Nel corso di questi sette anni si è preso tre tipi di vermi, la tenia, un’infezione sanguigna non meglio identificata e, ovviamente, la malaria. Poteva andare peggio. Dopo sette anni in giro, mi confessa, avremmo pensato di fermarci. Ancora non sappiamo bene dove. Forse la Svizzera, forse Roma. Basta Africa, almeno per un po’. Abbiamo, dice, perché in un campo di rifugiati che accoglieva trentamila persone, Federico ha anche avuto il tempo di incontrare Veronique. Svizzera, bionda, due occhi da tigre. Anche lei in giro tra Chad, Congo, Zimbabwe. Dopo le prime missioni sul campo, scherza, ho capito che non valeva la pena mettere in valigia le medicine, ma piuttosto l’olio, il parmigiano, i gusti. E così che l’ho conquistata: davanti a un piatto di pasta ben condito.

Seduta al tavolino di un vecchio caffè di Ginevra, ascolto avida i loro racconti, mentre rimbalzano i consueti interrogativi sull’efficacia degli aiuti umanitari, sulla differenza tra emergenza e sviluppo, sugli interventi delle organizzazioni confessionali, sulle imprese private che si affannano a costruire un’immagine responsabile, ma pretendono di dettare le condizioni.

Ascolto. Che ancora una volta, il mondo non è bianco o nero. Neanche se lo si guarda da un campo di rifugiati che manca di acqua potabile, scuole,e sale per dare un po’ di gusto a ciò che si mangia.

Ascolto. Che ancora una volta, a fare la differenza, non sono le istituzioni, non le credenze, non (sempre) le risorse finanziarie a disposizione, ma le persone. Non la loro voglia di fare. Ancora meno la loro voglia di fare «del bene». Ma la loro competenza, la loro resistenza, la capacità di compiere scelte informate, il rigore, il coraggio, l’integrità.

Ascolto. E continuerei ad ascoltare per giorni.

Pubblicato su “La Stampa” il 11/1/2013.

 

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