in Vivere altrove

Bandoli di matasse

Oggetti che raccontano di una vita altra, che avrebbe potuto essere, se, magari, e alla fine invece no. Per forza, per caso, per fortuna, chi può dirlo. Un maglione, una borsa, una forcina per capelli. Non servono per fare bilanci o tirare somme. Sono lì e basta. Al massimo prendono polvere. Bandoli di matasse rimaste gomitoli.

Gli oggetti «Sliding doors», li chiamo. Dal film, con la bruna che poi diventa bionda, ma solo se la porta della metropolitana non si apre. Perché invece se si apre e lei sale sulla metropolitana succede tutt’altro.

Di questi oggetti ne ho parecchi e alle volte, quando li osservo, mi accompagnano, anche solo per pochi istanti, in viaggi immaginari. I viaggi dei se, senza rimpianti o angosce.

C’è il pile blu peloso. Quando lo metto mi ritrovo catapultata ad Ottawa, a meno 26 gradi centigradi, a pattinare sul fiume ghiacciato. Rivedo l’aereo che atterra sotto la tempesta di neve, gli autobus scolastici gialli, uguali a quelli di Charlie Brown. Risento il titolare della libreria che parla una lingua che sembra francese, ma di cui non riesco a capire una parola. Rivivo una cena amichevole con possibili colleghi del marito scienziato in cui si è parlato di campeggio, wilderness, pesca nei laghi ghiacciati e orsi polari.

C’è la collanina di pezzettini di vetro azzurro. Viene da Ilha de Moçambique, antica fortezza portoghese, porto commerciale, centro di smistamento degli schiavi, oggi un incanto in rovina sommerso dalla storia. Quando la indosso d’improvviso la vita rallenta e sa di salsedine, di umido, di cene cucinate sul fuoco per la strada e di volti dipinti. A Ilha (o nei paraggi) avrei potuto rimanere, per continuare a dare senso alle cose. Ma è andata altrimenti.

C’è la tazzina di ceramica di Folegandros – chi non ha mai pensato di mollare tutto e ricominciare su un’isola Greca? – e la borsa con gli specchietti di Thiruvannamalai in India, dove non avrei mai avuto la forza di mettere radici, ma a ripensarci, di oggetto in oggetto, di vita in vita, da laggiù l’aereo mi ha portato proprio dove sono adesso.

Pubblicato su “La Stampa”, 20 febbraio 2015.

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