in Vivere altrove

Qualcosa di più di semplici righe tracciate su una cartina

Poche ore dopo gli attentati di Parigi del novembre 2015, il Presidente francese Hollande dichiarò la chiusura momentanea delle frontiere. Era il primo provvedimento previsto dallo Stato d’emergenza. Ricordo la notte seguente, insonne, tra sgomento e incredulità. Ripristinare i controlli doganali sembrava, in un contesto di massima allerta, l’unica cosa sensata da fare. Occorreva impedire che i responsabili fuggissero.

Le frontiere, però, – mi ritrovai a riflettere – sono qualcosa di più di semplici righe tracciate su una cartina politica. E i confini sono raramente ermetici come ce li si immagina. Più spesso sono porosi e permeabili, costantemente compromessi da scambi, transiti e travasi, siano essi di persone, animali o merci.

La chiusura delle frontiere tra Francia e Svizzera, e il conseguente ripristino del controllo sistematico dei documenti, avrebbe implicato code interminabili e triplicato i tempi di percorrenza per chi, come me, è solito attraversare la frontiera anche cinque, sei volte al giorno. Cosa ne sarebbe stato del mio lavoro? E mia figlia, come avrebbe potuto continuare ad andare a scuola a Ginevra? Decine di migliaia di persone attraversano quel confine ogni giorno all’alba e ne escono la sera per rientrare a casa, a pochi chilometri dalla frontiera. Al di là della frontiera hanno colleghi, amici, medici, parrucchieri.

Quando il neo-eletto presidente Trump ha emanato il controverso decreto anti-emigrazione, vietando l’ingresso ai cittadini provenienti da sette Stati, la prima cosa a cui ho istantaneamente pensato sono state le code e i controlli alle frontiere (in questo caso per lo più gli aeroporti), e la seconda, l’angoscia in cui si sarebbe ritrovati di lì a poco i lavoratori e gli studenti originari dei Paesi messi al bando.

Ho seguito la caduta del Muro di Berlino seduta sullo stesso tavolo su cui scrivo ora. In questi giorni faccio fatica a scacciare l’impressione che, mattone dopo mattone, altri mille muri stiano prendendo il suo posto.

Pubblicato il 17/2/2017 su La Stampa

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