Hai superato le frontiere da poco. Da poco, soltanto, hai integrato la schiera di noialtri, gli emigrati professionisti, i veterani della vita altrove, con alle spalle dieci anni e più di radici a penzoloni.
Ancora non ti sei presa la briga di conoscere a fondo la storia del Paese che ti ospita. Ancora non sei pronta a criticare la terra che ti accoglie, con un lavoro, un tetto, una possibilità qualsiasi di futuro. Se lo facessi – o piuttosto quando lo farai – ti accorgerai che “Ah, ma la Svizzera e le donne…”, “Ah, ma la Francia e il lavoro..”, “Ah, ma l’Inghilterra e i giovani…, “Ah, ma l’America e la sanità…”.
Noi veterani lo sappiamo, che nessuna terra è all’altezza delle nostre inarrivabili aspettative, delle nostre insaziabili lamentele. Neanche il Canada di Troudeau, pare.
Da poco, pochissimo, hai superato le frontiere. Lo si vede dall’entusiasmo con cui ti applichi ad imparare una nuova lingua, dall’imperturbabilità con cui ti destreggi nei meandri di una nuova burocrazia, dai paragoni continui, assidui, ossessivi, con la tua vita di prima, eterno specchio di ogni futura esperienza che farai. Sei frenetica, scissa tra un prima e un dopo che faranno pace solo tra parecchi anni. Se. Faranno. Pace.
Hai superato le frontiere da poco. E io non posso fare a meno di guardarti con la feroce supponenza di chi sa già cosa verrà dopo, e con la fastidiosa apprensione di chi aspetta paziente il momento in cui capirai la portata del tuo passo.