in Vivere altrove

Ci incontrammo un po’ per caso

Ci incontrammo un po’ per caso, attirate da un cognome in comune, che di diverso aveva solo un minuscolo spazio, tra la elle e la emme. Chissà che questo spazio non nascondesse una parentela lontana, perduta nei vicoli del tempo?

Sedute al tavolo di legno, un caffè tra le dita, ci raccontammo a vicenda. La storia era più o meno la stessa. C’era una volta una coppia, un marito scienziato, un’occasione di lavoro, un viaggio, una figlia, una vita da inventarsi.

La prima cosa che notai fu l’accento. Caldo, aperto, arioso. Un vero balsamo per le orecchie. Vengo da Siena. Sono una sarta. Ho una bottega, sai? Faccio abiti su misura.

Ci misi qualche secondo a processare l’informazione.

Torna subito indietro! Fai le valigie, carica la macchina e rientra in Italia! Ora! Cosa aspetti? Cosa ci fai qui?

Lo dissi con tono ironico, certo, ma lo dissi comunque, senza riuscire a trattenermi. A parlare, l’apprensione, l’incredulità, l’incomprensione, anche. O forse piuttosto l’esperienza di chi conosce lo sforzo che richiede l’adattamento, il dolore, talvolta fisico, che si prova a sradicarsi, la difficoltà insidiosa del ricostruirsi.

Siena, una delle più belle città d’Italia, in una delle sue più belle regioni. E a Siena, un lavoro. Un vero lavoro, pensai, con l’imbarazzo di chi, reduce da anni di studi umanistici, sa di passare la maggior parte del suo tempo ad autoconvincersi dell’utilità del proprio sapere.

Un mestiere, una casa, una terra che è anche un colore.

Finì che non ci riuscii a convincerti a rientrare. Almeno non subito. Al contrario fosti tu a convincermi. Volevi un lavoro. Ti serve una mano in casa? Mi chiedesti.

Mi serviva, certo che mi serviva, ma insomma. Tu eri… me. Davvero volevi pulirmi i pavimenti?

Fu bello, in quegli anni, sapere che per qualche ora a settimana ti occupavi di me. Che camminavi a piedi scalzi sul tappeto, spolveravi la libreria, spalancavi le finestre, sprimacciavi i cuscini.

Da te imparai cosa sono la concretezza e il senso pratico, l’umiltà e l’amore del fare, senza troppo pensare.

Pubblicato su “La Stampa” il 10/11/2017.

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