in Vivere altrove

Dove dormono i bambini

Io e Giulia, la sera, parliamo. Avviluppate l’una all’altra sotto il piumino, ci diciamo della giornata trascorsa, delle cose che abbiamo imparato, dei pensieri che abbiamo fatto, dei momenti belli e di quelli più difficili, ché le palpebre non si abbandonano al buio facilmente se il cuore non è leggero.

A volte scegliamo un libro e lo leggiamo insieme. Una frase per uno, o una pagina a testa, a seconda della voglia, della stanchezza, della curiosità di sapere cosa viene dopo, senza prendere il fiato. Questi libri, letti a quattr’occhi, sono per entrambe una specie di parentesi, un giardino segreto, una breve pausa tra gli altri, divorati invece in silenzio, ciascuno per conto suo.

Per Natale è arrivato in casa «Where children sleep» (Dove dormono i bambini), opera del fotografo James Mollison e dell’editore, e a sua volta fotografo dell’agenzia Magnum, Chris Boot. Su ogni pagina la foto di un bambino o di una bambina, seguita da qualche breve dato autobiografico. Sulla pagina di fronte, un’immagine della sua camera da letto, o meglio, del posto dove dorme.

Sera dopo sera, abbiamo dunque fatto la conoscenza di Kaya, una bambina di 4 anni che vive a Tokyo in una deliziosa cameretta piena zeppa di abiti cuciti a mano da sua madre e di orsacchiotti e bambole fino a toccare il soffitto. Di Bilal, un pastore beduino che d’estate dorme sotto una tettoia, sdraiato su un semplice tappeto, mentre controlla il suo gregge di capre e pecore. A lungo ci siamo soffermate a guardare negli occhi Indira, una bambina nepalese che a 7 anni lavora in una cava di granito, adora i noodles e da grande vorrebbe diventare una ballerina.

Il libro è delicato, intimo, potente. Uno straordinario intreccio di vite vissute, sogni, possibilità. Di sguardi sempre fieri, accesi e risoluti. Un vivido racconto dell’umanità come è oggi, in questo istante, da qualche altra parte. Un invito prezioso a sollevare lo sguardo al di là delle nostre piccole vite per porsi domande urgenti e trovare, chissà, qualche inaspettata risposta.

Pubblicato su La Stampa l’8 febbraio 2018

 

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