È tornato. Non ci posso credere. Davvero speravo ce ne fossimo liberati, non dico per sempre, ma almeno per un po’. E dire che tutti lo davano per morto, pubblicamente stecchito, schiacciato da nuove, fresche, imminenti priorità. E invece, no. Eccolo. Pimpante come non mai, in barba a tutti.
Invece mi sbagliavo alla grande. Perché lui e tornato, indifferente al trascorrere del tempo e della storia.
Sto parlando, ovviamente, del coefficiente di imbarazzo. Quel senso di estremo disagio e sottile ansia che prende noi immigrati all’estero quando qualcuno ci chiede spiegazioni sul panorama politico italiano.
Negli anni passati ci eravamo fatti discreti. E gongolavamo in cuor nostro, per questa inattesa e rincuorante pausa dalle luci della ribalta, dal fuoco incrociato delle domande retoriche. Gli amici francesi, inglesi, spagnoli, norvegesi, giapponesi, parevano distratti e osservando l’Italia da lontano, avevano quasi l’impressione di capire non dico i dettagli, ma le grandi linee. E non ponevano interrogativi scomo di.
Adesso, nei loro occhi e nell’intonazione della voce, è tornato lo sgomento, l’incredulità, la sospensione di giudizio, come fossero di fronte a un film di fantascienza, di quelli distopici, che ci metti un po’ a capire dove ti trovi e dove stai andando. E con lo sgomento, sono tornate le richieste di spiegazione.
E il problema non è tanto il montare delle destre fascistoidi e razziste, che quello è un fenomeno – oddio direi più un rigurgito – non particolarmente italiano. Ma tutto il resto? Come si fa a spiegare tutto il resto? Vogliamo parlare della legge elettorale? Ultimamente, sono diventata talmente brava a fare lo slalom tra un “Unbelievable” e un “C’est allucinante” che dovrebbero qualificarmi di default alle prossime Olimpiadi.