in Vivere altrove

Stereotipi, cliché, frasi fatte

Stereotipi, cliché, frasi fatte. Sono il sottobosco del nostro tempo. Le sentite dire, le dite, le pensate, e poi le dimenticate o negate di averle dette, sentite o pensate, consci della loro vacuità. Per definizione, le frasi fatte restano rigorosamente in superficie, ma talvolta, proprio per questo, ti tengono a galla. Il passare del tempo a volte ne riduce la frequenza, ma non pare scalfirne la tempra. Sono immuni alle mode, allergiche alle sfumature del ragionamento, alle sottigliezze del paragone.

La vita altrove è scoperta, ascolto, ricerca di sé e dell’altro. Vabbè. Ma è anche, e molto più spesso di quanto chiunque ami confessare, un teatrino, stupido, familiare, disarmante e liberatorio, di banali ovvietà. Regolari contrappunti sul tempo, il cibo, le feste comandate. In un perpetuo “moto a luogo” dello spirito e della mente. Perché in fondo la frase fatta, oltreché semplificare, accomuna e crea consenso. E la socialità dell’emigrato si basa, anche, su queste mezze verità, sterili e consolatorie al tempo stesso.

Fa sempre freddo (o le sue ovvie varianti, a seconda della latitudine: un umido insopportabile, un vento che ti porta via, e comunque, temperature siderali). I pomodori qui non hanno nessun sapore. E neanche i peperoni. Ma l’hai visto quanto costa la pizza? Non trovo da nessuna parte la birra Moretti. Che tristezza: il 25 aprile qui non fanno festa! E neanche la Befana o Ferragosto. Una vita senza basilico e origano vale davvero la pena? Quando torno a casa la prima cosa che faccio è prendere un caffè, uno vero. Solo poche settimane di maternità, ma sono tutti pazzi. La panna nella carbonara? Quanto mi mancano le scarpe italiane e i mercati all’aperto, con tutto sotto i 2 euro al chilo… Non so come fanno a mettersi quei calzini! Mettiamo che uno volesse fare un tiramisù, dove trova savoiardi e mascarpone? (esiste anche nella variante del bunet, con annessa ricerca degli amaretti). Parliamo del bidè, o meglio della mancanza del bidè. L’olio buono è una rarità. Ma c’è l’Ikea a Berlino?

Pubblicato su la Stampa il 18/5/2018

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