in Vivere altrove

Mostrare che diseredati ed oppressi esistono ancora

Per qualche minuto soltanto la foto del piccolo Aylan morto sulla spiaggia ha mosso a pietà un mondo spietato. Per qualche minuto soltanto la foto di Amal Hussain ha mostrato quali sono oggi le conseguenze della guerra in Yemen sui bambini. 

In questi giorni, da poco rientrata dall’Uganda, il settimo paese più povero del continente africano, mi chiedo se non abbiamo fatto un errore colossale a smettere, ad un certo punto, di mostrare foto di questo tipo. Dico noi e intendo tutti, giornalisti, cooperanti, scrittori, missionari, specialisti dell’aiuto allo sviluppo, medici. Dico noi, partendo dall’assunto che dietro un oblio collettivo così compatto ci sia stato un qualche tipo di riflessione comune. Credo infatti volessimo fortemente raccontare un mondo che è al tempo stesso povertà estrema e risorse preziose, fatica e speranza, guerra e riconciliazione, arte, cultura, musica, moda e ignoranza, superstizione, corruzione, disagio profondo e coraggio, sviluppo e saccheggio. Per raccontarlo, questo mondo, che è mille mondi insieme, da anni ormai mettiamo l’accento sui successi, sui sorrisi, sulle vittorie, sulle infinite opportunità. I dati globali confortano questa narrazione: la povertà assoluta è diminuita, l’aspettativa di vita aumentata, molte malattie sono state debellate, si muore meno di parto, di sete e di fame, sempre più bambini vanno a scuola, sempre meno sono costretti a lavorare. 

Mostrare un neonato con la pancia gonfia davanti ad una capanna di fango è stato considerato, e a ragione, un gesto da post-colonialisti arroganti e pretenziosi, da avvoltoi in cerca di facile sensazionalismo. Mi chiedo però se rimuovendo questa parte dell’equazione non abbiamo contribuito a rimuovere dall’immaginario collettivo quella che è ancora realtà per tanti, e facendolo, non abbiamo in fondo preparato il terreno alla sconcertante mancanza di empatia e compassione che sembra essere la cifra esistenziale del momento. Diseredati ed oppressi esistono ancora, hanno sogni e speranze, dignità e diritti, non hanno patrie e confini.

Pubblicato su La Stampa il 21/12/2018

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