in A scuola con Oliver

«Ai lov iu», l’ultimo saluto

Mica pizza e fichi, come dice un’amica contessa. Possedere un animale in questi tempi di caccia alle streghe, specie se peloso, quadrupede e con la coda, non è cosa da poco. Io e Oliver (dicesi Oliver salciccio meticcio vagamente punk di madre certa, una graziosa segugia, e padre incerto) avevamo già le nostre difficoltà a destreggiarci nella giungla metropolitana tra macchine, spazi recintati microbici, cagnette in calore da tenere a distanza, bambini in agguato da evitare con scrupolo, congeneri più o meno bellicosi da cui guardarsi, cacche da raccogliere, pipì da dosare equamente sull’intero percorso delle consuete tre passeggiate quotidiane.
I ricorrenti allarmismi però, hanno complicato non poco una metodica routine. E così, visto che il mio ridicolo compagno di fatiche si è più di una volta ritrovato schedato come «soggetto pericoloso», abbiamo deciso di fare l’unica cosa utile alla comunità. Ci siamo iscritti a scuola. Un corso di addestramento-base, dodici lezioni pratiche con istruttore e cinque teoriche con un etologo da cui speriamo vivamente di capire la ra-gione di certi raptus di gioia scomposta che ci prendono ogni volta che ci troviamo di fronte a un tozzo di pan secco. Per tre mesi, il sabato mattina, «con qualunque tempo» – hanno sottolineato in tono perentorio – alle nove e mezza andremo poco fuori città a imparare da esperti allevatori come ci si comporta in società. Tengo a precisare che l’episodio più increscioso di cui il mio terribile compare si è reso responsabile, in quattro anni di vita, è stato scambiare la schiena di un vecchino per una roccia, lasciandoci, senza il minimo problema, il suo inevitabile spruzzino. Un gesto antipatico, lo ammetto. Ma avevamo entrambi la vista annebbiata dai 45 gradi estivi.
Per formalizzare l’iscrizione è d’obbligo passare al centro. Il personale deve vederci, conoscerci e capire se siamo all’altezza di frequentare un corso collettivo (con altre sei coppie cane-padrone) o se, invece, ab-biamo bisogno di un maestro d’appoggio. Tremiamo al solo pensiero, ma miracolosamente supe-riamo l’esame. Sarà stato lo sguardo bollito di Oliver di fronte a un’acrobatica esibizione di agility di una cagnetta Infostrada, oppure il teutonico contegno (occhio pallato, bava alla bocca e convulsioni) dimostrato dallo stesso di fronte alla barboncina dell’addestratrice. Sta di fatto che è andata bene. Siamo stati ammessi. E ci siamo pure meritati un kit, composto da guinzaglio a strozzo e nodo, uno straccetto multicolore che sembra un po’ la treccia di fili colorati della merceria, da moz-zicare con tutta la ferocia di cui saremo capaci, un gioco dal quale non dovremo mai più separarci (sempre il solito tono perentorio) anche se questo vorrà dire fare piazza pulita di tutti i pupazzetti accumulati negli anni, quei brandelli lerci, odorosi e masticati che riempiono il cestino di vimini accanto alla cuccia. Niente più «bodi-bodi», un orribile riportino borchiato di plastica rosa e azzurro che Oliver stesso ha scelto in negozio e che solo in un secondo momento abbiamo scoperto essere uguale a quello di Rex; niente più «ai lov iu», una specie di peluche trovato ai giardinetti che, a morsicarlo, ripete insistentemente la sua dichiarazione… (anche se ora che le pile sono an-date sembra più un barrito che una languida confidenza). D’ora in poi in casa regneranno solo or-dine, disciplina, essenzialità e articoli con bollino Lav.

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