in Diario dal Mozambico

Ciclosofia africana

I gechi della casa in Zambesia scivolano sul pavimento come avessero i pattini da ghiaccio. Se ti siedi sul patio i bruchi ti si arrampicano sui piedi.

La mattina prima di iniziare a lavorare o la sera prima che il sole tramonti vado in bicicletta. Ne ho una da uomo stupenda. Hero, un monopolio, a giudicare dalla diffusione. Ha persino la sacca di pelle per gli attrezzi dietro il sellino. Gli attrezzi non ci sono, ma vuoi mettere la classe? Metà della gente mi sorride. Buana, qui, Buana là. Buana com Hero! L’altra metà mi sgrida, e mi fa segni scomposti urlandomi dietro. Contra-mao, fanno seri e apprensivi. Non è che io non sappia che qui la guida è a a destra. Semplicemente, sulle due ruote sono sempre stata un po’ pirata. Fa parte della mia ciclosofia. Certo le strade africane sono più da rally che da tranquilla pedalata domenicale lungo il Po e fare Critical Mass da queste parti ha, diciamolo pure, un che di estremo. Ma l’incanto di un crepuscolo sulle piantagioni di thè della zona acquista un sapore diverso se conquistato sputando polvere e litigando con la ruggine della catena. Una pedalata, e il mondo resta indietro, recitava una canzone allegra. E io a guardare il profilo ondulato dei monti arancio mi sento romantica come Rossella O’Hara e selvatica come Mowgli.

La sera arriva presto e, a lume di candela, sdraiata su una stuoia nel cortile davanti casa, leggo Furore di Steinbeck per ingannare il tempo. Intorno i rumori delle case ancora sveglie: i bambini che strillano, i galli che cantano (lo fanno più o meno a tutte le ore, invi comprese le quattro del mattino), le vocione impastate dei vecchi ubriachi, la radio del vicino, che manda sempre la stessa canzone: 45 minuti di puro new wave zambesiano, ipnotico, insistente. A Bernardo piace, ma lui non fa testo in fatto di musica. Bernardo è il guardia. Ha 27 anni, una moglie, 5 figli e dice sempre “pronto”, che è come dire “ecco”. Lavora di notte una settimana sì e una no. Una volta qualcuno gli ha chiesto se poteva adottare il suo bambino più piccolo. A lui l’idea non dispiaceva, ma la madre del piccolo non lo ha permesso.

L’odore del fuoco è dappertutto. Entra dentro casa, nell’ufficio, accompagna le strade fin dentro la campagna, impregna i capelli.

Gomme da bicicletta, candele, chiodi e abiti da bambino usati sono il pezzo forte del mercato di Gurúè, l’unico villaggio mozambicano che può vantare due accenti (rarità di cui gli abitanti vanno, giustamente, fieri, manco fossero cresciuti a pane e Rodari). Sulla strada che porta alla piazza principale, e che non ha nome, ci sono le botteghe dei barbieri, con le fotografie delle teste appiccicate alle pareti e la musica a manetta. Subito dopo cominciano i sarti, con le loro macchine da cucire sempre in funzione e gli abiti a confetto appesi ai rami degli alberi. All’angolo con la panetteria un negozietto vende apparecchi elettronici. Di fronte una massa di bimbi immobile davanti al televisore acceso.

Sabato mattina è arrivato a Gurúè-con-due-accenti niente popo’ di meno che il presidente Guebuza, “Gue-business” come lo chiamano i giornalisti di Savana, gli intemperanti cuginetti africani del Manifesto. Roba in grande, va riconosciuto: nel campo di calcio sono atterrati ben 4 elicotteri. Mancavano solo Wagner e Marlon Brando perché fosse uguale uguale a quella scena di Apocalipse Now. Quando i sei metri di polverone rosso sollevati dalle pale degli elicotteri presidenziali si sono finalmente ridepositati a terra, la gente tossendo e sfregandosi gli occhi, è corsa raggiante incontro al capo di Stato. Lui, al centro del campetto di calcio, sembrava Ronaldo dopo un goal. Una breve passeggiata, qualche ciao ciao con la manina e via di corsa a mangiare a casa dell’amministratore distrettuale. La politica, in Mozambico, più che nei corridoi, si fa seduti a tavola.

Coisas de Deus, ha commentato il motorista quando sui campi di thé, proprio di fronte a noi, è apparso un enorme arcobaleno. Coisas de Deus, ha ripetuto alla fine sfregandosi la fronte. Le mie appassionate spiegazioni fisico-chimiche sull’iride, la luce e il gioco di riflessi, evidentemente, non lo hanno convinto.

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