in Diario dal Mozambico

Il mondo in tasca

C’è un posto, a Maputo, che sembra l’ambientazione ideale per un film di serie B, di quelli oriental-style che cercano di imitare Bruce Lee, e siccome già Bruce Lee era brutto forte, loro sono davvero inguardabili. Il posto in questione si trova al fondo della Lenin, proprio dietro il giardino botanico, ed è un supermercato a due piani, pieno zeppo di cose cinesi. Se hai il coraggio di salire gli scaloni e passare attraverso i due leoni che, a mo’ di sfinge, incorniciano l’ingresso, senti nella testa un «ciack si gira» e mentre ti aggiri tra gli scaffali incominci a considerare come sempre piu’ probabile e verosimile l’ipotesi che, da un secondo all’altro, dieci ninja mascherati ti compariranno dinnanzi con un doppio salto mortale carpiato e urlando «Yaaaa-taaa» ti trafiggeranno con le loro girandole appuntite. Precisamente quest’ansia ti prende sfilando di fronte a file e file di thé verde, alghe essicate, vermicelli, strani cosini blu e gialli, lanterne rosse, peluche fucsia, kimono cento per cento acrilico, palline da ping pong, monopattini, bacinelle di ogni genere, numero e caso, materiale da campeggio. Il supermercato è vuoto. Quasi c’è l’eco. Completamente vuoto, se si fa eccezione per gli inservienti, che sono mozambicani e quando incroci il loro sguardo sembra che ti scongiurino, per favore-te-ne-prego-estou-a-pedir, se gli sveli anche solo in un orecchio a cosa servono quelle strane ciabatte con tutti quei pallini di legno che spuntano sulla pianta dei piedi. Vaglielo a spiegare, a un mozambicano, il massaggio shatzu.

Ma non c’è solo il supermercato ninja, a Maputo. C’è pure il mercato africano, vero grattacapo per etno-antropologi alla ricerca di mistero e conoscenza. A Maputo il mercato africano si chiama Xipamanine. Non che non ce ne siano altri, di mercati, come Janet o il mercato del Povo o il mercato municipale o Estrela Vermelha, dove dicono che puoi assoldare un assassino. Ci sono anche loro, ma non sono Xipamanine e non c’è nessuno chapa della città che urla mettiamo Janet tanto velocemente come urla ‘scpmnine. Entrare a Xipamanine è piuttosto facile. Molto, ma molto meno uscirne, essendo un labirinto fittissimo e denso che non riesci neanche a vedere il cielo e a renderti conto se per caso sta piovendo. C’è, per esempio, la zona vestiti, ovviamente usati, con le bancarelle che sono delle capanne con le pareti e il tetto di t-shirt, pantaloni e tute da ginnastica stropicciate e le maman sedute al centro ad allattare o a dormire che neanche ti guardano. Poi c’è la zona carne-pesce, che sembra una puntata di Quark perché ci ritrovi tutta la catena alimentare, dall’animale piu’ piccolo a quello piu’ grande, fino al bancone del macellaio con i quarti di vacca insanguinati. E soprattutto c’è la zona medicina tradizionale, che è davvero spaventosa. Ci sono le corazze di armadillo, le zampe di avvoltoio essicate, le teste di scimmia, le penne, le piume, le collanine di vertebre di chissà che bestia, i copricapo rituali, le polverine magiche, le radici, i tuberi, gli olii essenziali blu cobalto, le pelli, i feticci, i peli, i semi. Bibidi-bobidi-bò. La strega di Biancaneve impazzirebbe di gioia a Xipamanine, c’è da scommetterci.

Nel fine settimana siamo andati in barca sull’Incomati, risalendo la corrente fino alla foce. Sui margini del fiume ci sono le mangrovie, le poche che ancora rimangono, dato che la popolazione le sta tagliando senza criterio per fare il carbone. Le mangrovie, mi ha spiegato un amico agronomo, hanno dei semi incredibili simili a dei lunghi fagioli che, cadendo a terra, si piantano direttamente nel terreno, trasformandosi in una nuova pianta. Anche i rami che nascono dal tronco della mangrovia puntano in giù anziché in su e così, una volta toccata terra, diventano radici cominciando a succhiare l’acqua. Sull’Incomati ho anche scoperto che esiste una marea viva e una marea morta, a seconda della luna.

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