in Diario dal Mozambico

Itavonana munzuku! (ce se vede)

Tante cose mancano all’appello. Eppure stanno lì e hanno l’odore di Maputo.

Le strepitose doppie voci di Alcidio e le sue mani callose. Il wiskey venduto in bustine. Le dita nel naso, come fosse una cosa assolutamente normale. Ma guai a mangiarsi le unghie. La sera che si riempie di fumo e di carbone. L’ululato dei cani per le strade.

La danza dei polli nella chiesa della Culturarte, quella mattina alle 8. Franz, il coreografo francese e Simião, che ci ha conquistati entrambi. Panaibra, Edwaldo e Orazio che girano il mondo con i loro balletti.

Le infinite discussioni su sviluppo, cooperazione, diritti umani. L’Africa che si svende, l’Onu che compra, la ricerca di senso, la distribuzione di colpe. Le passioni tristi. Il cinismo di chi se ne va, il riduttivismo di chi salva qualcosa e l’afro-ottimismo, che c’è chi afferma sia un crimine contro l’informazione. I caju dell’UGC.

Le magliette: “Mozambico autarchico”, “Manda a scuola un amico”, “Dieci anni di comunità agricole”, “La força da mudança”, “Educamos à acabar com a pobreza”, “O dia do ambiente”, “O dia da liberdade de imprensa”, “O dia do Hiv/Sida”, “O dia da malaria”, “O dia da independência” e, ovviamente, “Vodacom, liga-me”.

La biblioteca nazionale che puzza di bagno pubblico e tiene in bella vista “Taiwan aujourd’ui” del ’96 e “Vetrate italiane” edizioni Electa.

La luna, che anche a Maputo cresce e cala, ma lo fa in orizzontale e non in verticale e a metà percorso sembra una tazzina di caffè senza manico. I fanalini delle macchine, bloccati con strisce di metallo perché nessuno li rubi. I banditi, (i ninja li chiamano qui), che la notte, se ti aggiri per le strade, fanno davvero paura.

Le frittelle vendute sui marciapiedi insieme al pane e al burro. L’asilo vicino casa, che hanno dipinto di rosa con Barbie sul muro. Le frasi che finiscono con “ne”, proprio come in piemontese e non mi pare una coincidenza da poco. Il venerdì che esce “Savana” e in terza pagina c’è l’articolo di Mia Couto. E mai una volta che sia inutile.

L’inno mozambicano, intenso come dovrebbe essere un inno nazionale. E non è proprio giusto che se io penso all’inno italiano mi viene in mente Totti.

Gli annunci su “Noticias”, che ricordano “Cuore” di quando ero ragazzina: Ibrahimo, medico tradizionale, esperto in recupero immediato e definitivo di amori perduti, denaro, salute, guarisce problemi polmonari, risolve definitivamente dolori alla testa e impotenza, ritarda l’AIDS. Per certe cose non c’è rimedio.

I ragazzi che camminano dandosi la mano. Magari sono fratelli, magari no.

Giordano, le colazioni, cosa hai sognato?, le sigarette, il Tang So Do, le prime note, magari si potrebbe, perché non facciamo, Alisei vuole, soste poche, per mangiare, una pasta da Mimmo, matapa, un frango sulla spiaggia e di nuovo al lavoro, dentro il computer, calcoli, fatture, Cabo Delgado, Florestas, Stampa 2, Milano ce la farà mai a inviare il nuovo capo-progetto del sanitario, per fortuna c’è Laurance, il sindacato-dio-come-li-odio-quelli, quasi quanto Naima, che sembra il nome di un antibiotico (vuoi un Naima? Guarda che poi ti passa…), ha chiamato Giovanna, quanto volete, i soldi ci sono, se no li troviamo, non vi preoccupate. L’auto-ironia è il solo rimedio, dottor Bertini. Ti va una birra al Cardoso? Mai prendersi troppo sul serio. Mai crederci troppo. In fondo in fondo siamo solo scappati di casa. Mas pronto.

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