in Diario dal Mozambico

Chapa mon amour (II parte)

Lo chapa per un motorista è un po’ come lo scooter per un liceale. Uno status, una moda, un’occasione per far vedere quanto sei ‘gggiusto. E quanto lo sei dipende, in maniera direttamente proporzionale, dal numero di adesivi colorati che campeggiano sul ciclomotore e dai decibel emessi dalla marmitta. Per gli chapa vale la stessa regola.

Uno chapa non sarà mai uguale preciso a un altro chapa. Se si eccettua il fumo nero dello scarico. Le collanine appese agli specchietti retrovisori, le bottiglie di Coca-Cola o di Sprite attaccate al tetto, le fodere plastificate dei sedili, le scritte ad effetto sulla fiancata, sommate alle pittoresche imperfezioni della carrozzeria mi richiamano alla memoria “La corsa piu’ pazza del mondo”. Intendo il cartone di Hanna & Barbera (ma sono uno o due? Mai capito), quello con Dick Dasturdly, Penelope Pitstop, e l’immancabile “Mutley fa qualcoooosa!”. Quando mi fermo alla bomba di Plaça OMM nella mia testa parte la telecronaca: “No lift” supera “A passião de Cristo” sterzando pericolosamente davanti a “Doctor”, mentre “Pescador” e “Caçador” inseguono “Pink”. “Good luck” è in panne dopo essersi scontrato contro “One day”. “Superbus” arranca a fatica mentre “Folgado” (che poi è l’esatta riproduzione della Macigno Mobile) se la prende con “Touro Trans”. Ma ecco che “Vovô Mathe” (che poi significa nonno Matteo!) taglia il traguardo. La folla è in visibilio. Prima o poi, ne sono certa, dalla Kim il Sung sbucherà sulla Karl Marx, in una nuvola di fumo, il diabolico coupé.

Prima di avventurarsi su uno chapa leggere attentamente il foglietto illustrativo : mai eccedere in eleganza, riporre sempre i propri averi in un luogo giudicato sicuro (nella hit reggiseno, scarpe e slip), sorridere di tanto in tanto al cobrador, partecipare con sincero interesse alla conversazione, canticchiare i motivetti delle canzoni trasmesse dalla radio, respirare, se possibile con regolarità. Esercizi di yoga caldamente consigliati.

Nel negozio di elettrodomestici sulla Lenine c’è un grande televisore e la gente, di sera, se ne sta seduta lì davanti, sul marciapiede, a guardare il calcio e fare commenti come fosse al cinema.

Le sedie dei guardia meriterebbero un servizio fotografico. Anche le grate di ferro alle finestre: ce n’è di tutti i tipi e di tutte le forme.

Ieri per la prima volta non ho sentito il rumore della pioggia sui tetti di alluminio. Sarà abitudine?

I parcheggiatori, se glielo lasci fare, lavano le ruote delle macchine anche sotto il diluvio. Non so pensare a una cosa piu’ inutile.

E’ iniziato il conto alla rovescia. Porr’e’pa. Nell’arco del prossimo mese e mezzo la comunità internazionale dei “cooperanti randagi” si disperderà ai quattro angoli del mondo, nell’attesa di ricomporsi, con leve fresche di zecca, all’inizio del nuovo anno. Partono gli stagisti, i fellow, le internship e i volontari internazionali, partono i ragazzi in servizio civile internazionale, i missionari e i borsisti universitari. Lavoratori che solo gli imbecilli o i politicanti in cattiva fede continuano a chiamare “atipici”. Di contratti a tempo indeterminato a Maputo ce n’è meno che in Italia. Se possibile.

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