in Vivere altrove

Il cristallo rosso dà i primi frutti

È quasi l’una di notte quando i 1200 delegati delle 183 società nazionali della Federazione Internazionale della Croce Rossa e i rappresentanti di oltre un centinaio di Stati decidono infine di adottare il controverso «cristallo rosso» quale terzo emblema aggiuntivo del Movimento, al fianco della croce rossa su campo bianco e della mezzaluna rossa. Il voto, avvenuto tra il 21 e il 22 giugno scorso, nell’ambito della ventinovesima Conferenza internazionale, e risoltosi in 237 si, 54 no e 18 astensioni, ha posto la parola fine a un dibattito che si trascinava ormai da anni. Sterile e astratto per alcuni, strumentale per altri, sintomatico per i più, il confronto sul simbolo è, in effetti, solo in apparenza una questione di “araldica”, mettendo direttamente in causa la pretesa universalità del diritto umanitario, la sua immediata riconoscibilità, e l’oggettiva e incontrovertibile sovranità di identità politiche e religiose.

La neutralità dentro i conflitti è una chimera ormai da tempo. L’intangibilità della Croce Rossa un mito vieppiù incrinato da guerre diventate guerriglie senza fronti, delocalizzate e globali, espressione di una violenza sistematica che scardina gli schieramenti, perfora i confini statali, cancella i campi di battaglia, brutalizza popolazioni civili inermi.

Per fare ordine nel disordine, restituendo ai soccorritori una sacralità irrinunciabile, la più estesa e antica organizzazione umanitaria al mondo ha cercato di serrare le fila, approvando, qualche settimana fa, quello che in gergo si chiama il «terzo protocollo addizionale» che, correggendo lo Statuto, offre alle varie Società nazionali la possibilità (non l’obbligo) di servirsi del «cristallo rosso» laddove queste ritengano che vi sia la possibilità che l’emblema originale non venga considerato come neutrale, nel corso di un conflitto. Alla prova dei fatti, insomma, il modo in cui un simbolo viene percepito conta più delle ragioni che ne avevano storicamente giustificato la scelta.

Se è vero infatti che la croce rossa su campo bianco, adottata nel 1863 dall’allora Comitato Internazionale di Soccorso ai militari feriti, è nata come un omaggio alla Svizzera – invertendo i colori federali del drappo nazionale – e non alla cristianità, già nel 1929 la Convenzione di Ginevra autorizzava, con una certa dose di pragmatismo, l’uso della Mezzaluna rossa e, fino agli anni ’80, anche del persiano Leone rosso in quei paesi musulmani (25 in tutto) in cui l’esibizione dell’emblema distintivo della croce perdeva il suo valore «protettivo». Da quel momento lo spettro di una proliferazione di simboli ha cominciato ad aleggiare minaccioso sulla Federazione. Per questo la stella rossa di David, simbolo dell’organizzazione di soccorso israeliana Magen David Adom, non è mai stata accettata come segno distintivo e, di conseguenza, l’organizzazione non ha potuto entrare a far parte del Movimento Internazionale della Croce Rossa. Questo, fino all’entrata in vigore del «cristallo rosso» che, consentendo alle varie Società nazionali di preservare i loro simboli distintivi all’interno del nuovo riquadro, ha sottratto l’MDA da un isolamento pluridecennale. La Conferenza di giugno ha anche ammesso nel Movimento la Mezzaluna rossa palestinese, in deroga alla norma che vuole che tutte le Società nazionali emanino da uno Stato sovrano.

«Il Comitato Internazionale della Croce Rossa – recitava soddisfatta la dichiarazione di chiusura – si augura che l’accordo stipulato a Ginevra faciliterà la cooperazione tra Mezzaluna rossa palestinese e MDA sul terreno». Questo, in fondo, era il solo e unico scopo di tanto discutere.

La prova del fuoco non si è fatta attendere. Nel conflitto che da quasi un mese oppone Israele alle milizie sciite dell’Hezbollah, la Croce Rossa libanese, la Mezzaluna rossa siriana, palestinese e cipriota, e l’MDA intervengono direttamente, nei rispettativi Paesi, coordinati da un unico direttore delle operazioni di soccorso, Pierre Krähenbühl. Forse per profughi, rifugiati, sfollati, feriti e militari il logo sulla maglietta di chi li aiuta non è poi così importante. Del resto, il «cristallo rosso» non ha fatto in tempo ad apparire sulle divise degli operatori umanitari impegnati sul campo, ma c’è. E non è solo un logo, per fortuna.

Pubblicato su «Vita non profit» il 1 settembre 2006

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