in Vivere altrove

Vivere altrove… Pendolari volanti (II)

viverealtrove_20060119.jpg«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via», scriveva, magistralmente Pavese. E ancora. «Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei, resta ad aspettarti». Lo san bene tutti gli emigrati, e, ancora meglio, lo sanno i trasfertisti dell’era globale: i pendolari volanti. Una vita festiva in Italia e una feriale a Monaco, Praga, Mumbai, Dublino.

Sempre col disco orario poggiato sul cruscotto. Sempre a cavallo della linea di confine. L’estero vissuto non come parentesi, ma come normalità, in quella stabile instabilità, doppio coinvolgimento e tormentata spaccatura che è la cifra del vivere altrove. Con gli anni, questa specie dal naso fino, l’occhio lucido e lo stomaco dilatato dalle noccioline degli aerei e dai pasti on the road, impara a piantare radici lunghe una spanna. Un modo come un altro per non avere troppa zavorra da trasportare sulle spalle quando, un ora, un giorno o una settimana dopo, l’orizzonte cittadino cambierà, liquido più ancora di un aperitivo.

È come se avessero preso un virus, mi spiega un membro più che onorario di una categoria che non va in pensione. Il virus del viaggio. Perché, anche se di lavoro spesso si tratta, è il viaggio, la scoperta, la curiosità, la necessità di adattarsi, il vero, autentico motore di una vita forse faticosa e un tantino surreale, ma fortissimamente scelta e quasi mai subita o lamentata.

Viaggio, dunque, non solo spostamento, dislocazione, distacco. E se, siamo d’accordo tutti, il viaggio è archetipo di tutto quanto parte, procede, giunge e, a volte, ritorna, questi eretici erranti e vagabondi del jet-leg, molto più inclini a filosofare tra le nubi di quanto il classico cliché del manager o dell’ingegnere porterebbe a sospettare, sono lo specchio di un mondo che rifiuta i tempi morti e sposta in continuazione l’orizzonte. Terrestre, mentale o spirituale che sia.

Pubblicato su “La Stampa“, venerdì 12 ottobre 2007.

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