in Vivere altrove

Vivere altrove… Senza caffeina

viverealtrove_20060119.jpgSe ti sei trasferito in Portogallo, forse non ne senti il bisogno. Ma in qualsiasi altra parte del mondo, è sicuramente diventato un accessorio obbligato della tua nuova casa. Tra la voce «bollette» e la voce «dentista», inamovibile e lamentoso, giace, tra gli scaffali della libreria, il fascicolo dedicato al «caffé». Perché, se c’è una cosa di cui gli italiani emigrati si lagnano senza tregua, oltre al tempo meteorologico, è la nostalgia per l’espresso del bar sotto casa. «’Na tazzulella e’ cafè», da bere al volo, in piedi, a garanzia di un po’ di lucidità.
«Paese che vai, caffé che trovi», dice Marco affranto, quando, dopo l’ennesimo tentativo di ordinare un «espressò ristrettò bien serré à l’italien» («one-shot mocha» o «Espresso double shot»), si trova di fronte «acqua marrone», un beverone tiepido e annacquato servito in una specie di mug per tisane naturali. E dire che fa sempre il gesto con il pollice e l’indice, cercando di spiegare che «espressò ristrettò» vuol dire, appunto, che ce ne deve essere poco, giusto due dita. Amaro e concentrato. Ma evidentemente gli manca il fascino brizzolato alla George Clooney. Approfondite indagini sono, poi, in corso sul mistero che impedisce la produzione dell’amata bevanda anche in presenza di una normalissima macchina espresso. Sarà l’acqua, la temperatura, la pulizia degli ingranaggi. E chi lo sa. Non stupisce che, per reazione uguale e contraria, l’espresso italiano sia diventato nel mondo una specie di stereotipo del Made in Italy. Brigitte, una collega franco-olandese assidua frequentatrice del «Paese dove fioriscono i limoni», non riesce a capacitarsi del fatto che persino il caffé dell’autogrill sia più buono di quello che normalmente le rifilano nei locali chic ginevrini. Per quanto mi riguarda, tendo a snobbare la crociata, ritenendomi più una fan del cappuccino («cap-uh-chee’-nò») che del ristretto. E questo forse facilita le cose, visto che a quanto pare una schiumetta decorosa son bravi tutti a farla, persino da Starbuck.

Pubblicato su “La Stampa“, venerdì 26 ottobre 2007.

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