in Vivere altrove

Vivere altrove… e partorire (II)

viverealtrove_20060119.jpg«Ma vuoi mettere la soddisfazione di fare tutto da sole!» fanno eco le amiche navigate, che a suo tempo, dalla sala travaglio, hanno minacciato denunce e procedimenti giudiziari, e adesso fingono superiore distacco, ormai dimentiche della paura e della sofferenza delle primipare. E già, perché un’altra delle favole che si raccontano (e in Italia soltanto) – immagino al solo scopo di evitare una fuga di massa all’estero verso ospedali più attrezzati e disponibili in fatto di anestesie – è che «il dolore del parto te lo dimentichi subito». Sicuro. Del resto, è noto a tutti che le tre settimane successive al grande giorno ti siedi su un salvagente solo per un’insopprimibile voglia di mare.
Insomma, per farla breve, indottrinate sin da piccole sulla necessità del dolore come viatico verso l’unica forma di maternità e redenzione possibile, le italiane accettano senza colpo ferire che un trattamento, altrove dispensato senza parsimonia, venga loro, regolarmente, negato. Sono convinta, come dicevo, che molto si debba all’ambiguità della dizione «parto naturale» e della successiva equazione «naturale» ergo «buono», semplice, facile. E tiriamo tutti un sospiro di sollievo. Ora, e cito un’amica milanese che a due giorni dal termine, ancora non ha trovato nella città da bere un’accettazione disposta a prendersi cura di lei, «la storia dell’uomo non è forse la storia di lotte continue contro la natura o per dominare la natura?». Al parto fa seguito, va da sé, l’allattamento al seno. Che in Italia è una specie di undicesimo comandamento. Anche allattare infatti è «naturale» (poco importa se poi, collateralmente, è anche doloroso, faticoso, difficile, stressante). Premetto che sono una fautrice della pratica e una strenua paladina dei sei mesi consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (la stessa che dà alle sue impiegate solo dieci settimane di maternità…). Ma per rimettere il tutto nella giusta prospettiva vi basti la battuta di una collega olandese, che alla domanda «Tu hai allattato?», ha risposto ilare «Ma certo, per ben due settimane!».

Pubblicato su “La Stampa“, venerdì 9 maggio 2008.

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