in Vivere altrove

Vivere altrove… senza radici

viverealtrove_20060119.jpgBrassens scrisse una canzone che sembra proprio fatta apposta. Les oiseaux de passage, il titolo originale. In pratica, gli uccelli di passo. Con una delle sue più riuscite metafore, lo chansonnier francese descriveva la vita, i sacrifici, i sogni e lo spirito degli uccelli migratori, paragonando la loro instancabile sete d’azzurro alla pigra e indolente sedentarietà di polli e tacchini. Lo sguardo sempre fisso su un orizzonte mobile e febbrile. Deserti, mari e ghiacciai a sfilare sotto gli occhi, veloci, senza mai il tempo per una sosta. Persone così, senza radici, ne esistono ancora. Il loro migrare segue spesso il ritmo dei mali del mondo. La fame, le malattie, le guerre, gli uragani, i terremoti, le emergenze umanitarie. L’esercito dei cooperanti è troppo variegato per sperare di poterne tracciare un profilo univoco. Dietro l’etichetta di un lavoro esotico e poco accreditato si celano, in realtà, una miriade di motivazioni pubbliche e private. C’è chi parte per fuggire da ferree contabilità, chi per ritrovare un’umanità perduta e uno sguardo incantato sul mondo, chi è spinto dall’illusione di «fare qualcosa di buono», e chi da un più onesto egoismo altruista. Tutti, però, indistintamente, decidono un giorno di spiegare le ali. E mettersi a volare. Due anni qui. Due anni là. Sei mesi a est. Sei mesi a ovest. Angola, Congo, Birmania, Nicaragua, Giordania, Ciad. Paesi remoti, da doverli cercare sugli atlanti geografici. Altro che club med. Terre sempre difficili e pure, brutali e sensibili, avvilite e felici. A stare anni lontani da casa si finisce per non averne più nostalgia. A guardare l’altra faccia della luna, quella rugosa e bitorzoluta e segnata dalle fatiche della vita, si finisce per credere che sia l’unica possibile, l’unica autentica.
Carlo ha lavorato per una nota Ong italiana per oltre quindici anni. Io l’ho conosciuto mentre, macinando chilometri su immacolate spiagge africane, mappava i nidi di una rara specie di tartaruga. Era ormai un migratore in pensione, ma aveva trascorso molta della sua vita preferendo «non imparar la rotta, per non scordare il mare».

Pubblicato su “La Stampa“, venerdì 23 maggio 2008.

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Commento

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  1. Buongiorno.
    Chi scrive è uno Studente di Scienze Politiche che sta lavorando per una tesi intitolata “L’esilio e lo straniero: la ricostruzione dell’identità”.
    Leggendo questi articoli comprendo che lei è molto attratta dall’argomento, e mi chiedo se possa suggerirmi qualche libro, o articolo, o quant’altro per la mia tesi.
    Nel ringraziarla anticipatamente, le lascio la mia email.

    adadea@hotmail.it

  2. Meglio, molto meglio essere uccelli di passaggio che tacchini sedentari … grande Brassens