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Se il malato diventa globale. Il boom del turismo medico

turismo.jpgGinevra. Madhan Balasubramanian, Assistant Professor all’Apollo Hospital Group di Nuova Delhi, sembra il responsabile di un hotel a cinque stelle, più che uno stimato chirurgo toracico. Il suo intervento al recente Geneva Health Forum ha ben poco della classica presentazione medica, e si colora dei toni iperbolici di una brochure pubblicitaria quando indugia sulla descrizione dei servizi e dei costi dell’Health City di Hyderabad, una struttura futuristica poco distante dalla capitale, dove si concentrano, tra gli altri, un modernissimo Istituto per la cura dei Tumori, uno per le Malattie Cardiache, un Centro per Disfunzioni Renali, uno per la Chirurgia dell’Occhio e un altro per quella estetica. 6000 dollari per un’operazione al cuore, contro i 30 mila che sarebbero necessari per lo stesso intervento negli Stati Uniti. 69 mila dollari per un trapianto di fegato contro i «normali» 300 mila. 26 mila dollari per un trapianto di midollo spinale invece di 250 mila. 850 dollari per una rinoplastica che altrove ne varrebbe 4500.
L’entusiasmo di Mister Balasubramanian non è poi, a pensarci bene, così fuori luogo. Né i dati paiono smentirlo, se è vero che 500 mila pazienti arrivano in India ogni anno dai quattro angoli del globo per usufruire degli esclusivi ed economici trattamenti offerti. Gli inglesi tagliano così gli infiniti tempi d’attesa. Gli americani, che rappresentano il bacino più consistente per questo tipo di mercato, riducono a volte anche della metà il costo di operazioni spesso non coperte dall’assicurazione. I canadesi sfuggono ad un sistema che non prevede la possibilità di rivolgersi al privato «locale» laddove il servizio sia contemplato dal sistema sanitario pubblico.
Stesso ritornello per il Bumrungrad di Bangkok, tra i 10 migliori ospedali del mondo. Quasi 400 mila pazienti stranieri all’anno, provenienti da 189 paesi, più di 600 medici formati in Europa e negli Stati Uniti (ma pagati il 65% in meno), un personale che è in grado di parlare 17 lingue. Senza dimenticare la certificazione della Joint Commission International, che è la principale agenzia di accreditamento ospedaliero esistente, a garanzia dell’affidabilità della struttura.

In gergo, questo via vai di pazienti ed ospedali viene definito «turismo medico». Il fenomeno non è recente: nel 1997 Singapore, una delle mete tuttora in cima alla lista delle preferenze e al sesto posto nella classifica dell’OMS per qualità dei servizi sanitari, stimava già a 370 mila i turisti che ogni anno si recavano nel paese per ragioni mediche.
Eppure, su scala globale e in un’ottica di lungo periodo, l’inversione di tendenza è palese. Se in passato erano i (pochi) ricchi dei paesi poveri a muoversi nel “Primo” Mondo alla ricerca di cure appropriate, adesso sono i (molti) poveri dei paesi ricchi a recarsi nel “Terzo” Mondo per farsi operare a basso costo. A fronte di sistemi sanitari sull’orlo del collasso, il turismo medico, – di cui quello estetico o procreativo non sono che specifiche declinazioni – negli ultimi tempi sta letteralmente esplodendo. Il giro di affari complessivo è calcolato intorno ai 60 miliardi di dollari (era di 40 miliardi nel 2004) e la McKinsey & Company prevede che salirà a 100 miliardi entro il 2012 (di cui 2,3 miliardi soltanto in India).

Quali le destinazioni più accreditate? Nel 2005, secondo un rapporto dell’ECOSOC, l’India, la Malesia, Singapore e la Tailandia hanno attirato oltre 2 milioni e mezzo di pazienti. Panama, Brasile, Costa Rica, Colombia, Tunisia e Sudafrica sono la mecca della chirurgia plastica e ricostruttiva e degli interventi per la perdita di peso e, ad eccezione dell’ultimo, consentono un notevole risparmio sul prezzo del volo. Ma la vera avanguardia è rappresentata dall’Est Europeo, in particolare Ungheria, Polonia e Bulgaria dove si riversano soprattutto i pazienti bisognosi di cure odontoiatriche. 25 mila inglesi, nel 2007, sono volati oltrecortina per capsule, corone e impianti che in patria avrebbero facilmente richiesto lunghi piani di ammortamento (un trattamento da 1800 sterline, ne costa a Budapest solo 400). Un austriaco su tre preferisce farsi curare da un dentista ungherese.

Società intermediarie, come le americane Medretreat, PlanetHospital o Medical Tours International, aiutano il paziente a scegliere da un menu che comprende quasi 200 procedure mediche in quindici differenti paesi, si occupano degli accertamenti (valutando le condizioni di salute del cliente, le ore di viaggio da prevedere, la qualità dell’assistenza) e agiscono come veri e propri tour operator. Talvolta, come nel caso di tre note agenzie sudafricane – Afrisurge, Mediscapes e Surgeon and safari – arrivano ad offrire, oltre all’intervento, una settimana di relax in un parco naturale o sulla spiaggia.

E’ dunque tutto oro quel che luccica? Il low cost sanitario decongestiona, certo, i paesi «emissari» dall’eccedenza di domanda, e arricchisce, inevitabilmente, gli «immissari» riducendo, tra l’altro, la fuga di manodopera qualificata. Resta tuttavia un enorme limite: gli Eldorado del bisturi sono cattedrali per lo più inaccessibili alla popolazione locale. Il muro che il sistema «sanitario» globale ha abbattuto tra le frontiere, si ricrea, insomma, internamente. Più spesso e pericoloso che mai.

Pubblicato su “La Stampa”, giovedì 31 luglio 2008.

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