in Vivere altrove

Vivere altrove… a distanza

viverealtrove_20060119.jpgMichelle ha gli occhi blu, i capelli biondi, una felpa verde e un viso da ragazzina. Dopo aver cercato per un po’ tra la gente uno sguardo su cui posarsi, mi si avvicina e, senza chiedere niente, incomincia a parlare. Sembra sia stata in silenzio per mesi. Michelle è inglese, fa la parrucchiera, ed è al primo piano del Cto, Reparto Terapia Intensiva, perché lì, da tre settimane, stanno cercando di salvare il suo Paul. Una settimana bianca a Clavière, il sole, due snowboard e una capanna. Poi la caduta. Emorragia cerebrale, coma e tutto il resto.

Forse, mi dice, a fine mese, Paul si stabilizzerà e potranno rimpatriarlo. Forse, mi dice, a fine mese, si torna a casa. Per ora non si può che aspettare. Un infermiere le ha regalato una guida di Torino, ma mi confessa che non sa se avrà mai la forza di utilizzarla. Ha letto del Museo del Cinema, di Piazza Castello, del Lungopò e del centro storico. Eppure il turismo è l’ultimo dei suoi pensieri in quest’incubo ad occhi aperti che la tiene lontana da suoi, inchiodata in una città più che straniera estranea, che l’ha accolta come può, con rispetto, calore e professionalità, ma che non parla la sua lingua e dove il campanello della porta di casa non suona mai. Michelle continua a parlarmi, senza quasi prendere il fiato. Non so da cosa l’ha capito che abbiamo in comune la distanza. Ma l’ha capito.

La distanza, penso mentre si infila i sovrascarpe, il camice e la cuffia prima di entrare da Paul, è una brutta bestia. Cento, mille o diecimila chilometri possono metterti al riparo dalla noia, salvarti dalla crisi economica, regalarti un’occasione, prometterti un’incantevole parentesi, aprire la strada ad una fuga definitiva, incoraggiare un nuovo inizio. A volte però il peso della vita ti raggiunge. Non importa quanto lontano tu abbia deciso di andare, con quanta convinzione, con quali sogni o speranze. Allora quei cento, mille o diecimila chilometri diventano un macigno che ti toglie il respiro.

Pubblicato su “La Stampa“, venerdì 13 febbraio 2009.

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