in Vivere altrove

Siamo tutti migranti

Sono un’ottantina. Tutte donne. Di quelle che non chinano la testa, di quelle che se piangono, lo fanno cantando. Di quelle che conoscono la medaglia e anche il suo rovescio. Di quelle che si arrabbiano ancora, s’indignano, sperano e discutono. Di costituzione, di diritti, di marciapiedi sporchi, di violenza, di vita di quartiere, di scuola, di nipoti, di lavoro. Di quelle che tanto lamentarsi non serve. Meglio fare. Meglio sporcarsi. Sono per lo più insegnanti, professoresse universitarie, architetti, avvocati. Lo sono, o lo sono state, prima della pensione. Che, in ogni caso, non le ha fermate. Si ritrovano il mercoledì pomeriggio, in un circolo di San Salvario. Amano il senso delle cose, delle scoperte, degli incontri, delle parole, dei ricordi, dell’andare.

Donatella, Adriana, Antonia, Anna Lucia, Renata, Carla, Marisa.

A dicembre hanno scritto e stampato un libriccino che s’intitola «Siamo tutti migranti» e raccoglie alcuni capitoli delle loro storie e molte delle loro riflessioni. C’è la storia di Paulette, che salva il suo Giuanin, prigioniero in Germania in un campo di lavoro, infilandolo in un sacco della biancheria, e quella di Toni, che partita studentessa per l’Inghilterra, finisce per restare all’estero sei anni. C’è Velika Gabrowska, tisiologa bulgara che studia a Parigi, diventa direttore sanitario di un grande ospedale di Sofia e muore in Italia, per stare accanto alla figlia, e Bice, che scopre la diversità a poco a poco, negli sguardi appuntiti che gli altri le riservano in quanto ebrea. C’è Silvana, «migrante per parte di madre», una slovena sposata ad un italiano, e Luisa che da Villanova ha l’ardire e la fortuna di frequentare l’università a Torino e quando nevica è costretta a portare «maglie alla ciclista, cioè con il collo alto, confezionate in pura lana dalla maglierista di fiducia Maria ’d Giacu ’d l’Americana».

Racconti brevi ed intensi, da sfogliare, leggere e conservare, per provare almeno un poco a sentirsi come loro, cioè «a casa nello spazio e nel tempo».

Pubblicato su “La Stampa” il 5/2/2010.

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