in Vivere altrove

Il mondo in una classe

Stati Uniti, Nuova Zelanda, Mozambico, Svizzera, Canada, Afghanistan, Germania, Spagna, Cile, Olanda, Liberia, Marocco, Inghilterra, Francia, Italia, Senegal, Irlanda, Salvador, Argentina, Russia, Giappone, Tunisia.

Inglese, americano, mozambicano, svizzero tedesco, svizzero francese, québécois, pashtu, tedesco, catalano, castigliano, cileno, olandese, marocchino, tunisino, senegalese, Wolof, russo, giapponese, italiano, francese.

Un giovedì sera, alle diciotto, seduti su seggiolini troppo piccoli in una stanza coloratissima di una scuola di «pedagogia attiva» piena di strumenti musicali e giocattoli e fotografie, i circa trenta genitori di due classi di bambini di 4-5 anni convocati per l’inizio dell’anno scolastico, hanno, su richiesta, elencato i loro paesi d’origine e la lingua parlata a casa. E a me, mentre ascoltavo, sono venute le lacrime agli occhi. Giuro, mi sono davvero commossa. C’era una coppia, presenti entrambi, a mo’ di testimonianza vivente, in cui lui era svizzero-americano e lei afghano-irlandese. Ripeto: afghano-irlandese. Ma visto che venivano dalla Bolivia dove, per lavoro, avevano trascorso gli ultimi dieci anni, a casa loro si parlava inglese, tedesco, pashtu e spagnolo. Come si fa a non commuoversi? Anche le maestre, Rachel e Magali, una francese-francese, l’altra canadese-neozelandese, alla fine del giro, hanno iniziato a battere le mani, facendoci i complimenti e lanciandoci baci, come fa il Papa quando va in giro sulla papamobile. Questa è Ginevra e questa è la scuola ginevrina di Giulia.

Conosco persone che pur di non vivere qui, bivaccherebbero sotto i ponti. Eppure io una città che, in una classe di quindici bambini, racchiude il mondo, la trovo semplicemente irresistibile. Anche a costo di sembrare «esotica» nella mia grigia mono-identità di italiana, di origini italiane, parlante italiano a casa, sposata a un italiano (per di più del mio stesso quartiere!), vivente in Francia e lavorante in Svizzera. E chessaramai.

Non lo so se alla fine di questa scuola Giulia amerà leggere, l’algebra, la pittura o Chopin, ma a me sembra comunque un inizio promettente.

Pubblicato su “La Stampa” il 19/10/2012.

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  1. Giorni fa parlavo alla maestra nuova di figlio grande perché avevamo cambiato scuola a figlio piccolo e perché, nonostante sfighe varie, lui l’ avevamo lasciato lì perché rifiutava di lasciare la sua classe.
    “E in fondo lo capisco, conosciamo tanti genitori fin dal nido ed è una scuola molto colorata”.
    “Ma come a me sembra una di quelle scuole bianche ariane”.
    “Adesso lo è di più, ma pochi anni fa, quando era appena stata fondata, su 60 bambini io di almeno 19 sapevo con certezza che a casa erano bilingui”.
    Noi abbiamo i genitori afgani di cui lui si è laureato ingegnere in Cecoslovacchia e lei parla in Urdu con la mamma pakistana di seconda generazione ripudiata dai suoi per aver sposato un olandese. Vivere ad Amsterdam, ah, non ci rinuncerei mai solo per questo. A parte il ripudio.