in Vivere altrove

I tanti sguardi poggiati sul mondo

Ora lo dico. No perché, sono anni che ci giro intorno. Discutendo con le persone, ascoltando i loro racconti, leggendo quanto hanno scritto, confrontando, riflettendo, spaccando il capello in quattro. Dunque adesso lo dico. L’Italiano all’estero non esiste. Non esiste l’Italiano in Francia, l’Italiano in Svizzera, l’Italiano in Australia. L’Italiano a Londra o a Parigi o a New York. E c’è di più. Il cervello in fuga non esiste. Come categoria (sociologica) intendo. Ma poi, non sono una sociologa, e in fondo che ne so io.

Quello che voglio dire è che rischia di essere fuorviante, impreciso, generalizzante e davvero troppo semplicistico fare di chi vive all’estero pur conservando un passaporto italiano, un gruppo omogeneo, dotato di caratteristiche proprie, uniche e in qualche modo identificative. Chi parte lo fa per svariate ragioni. Ha obiettivi diversi, aspettative diverse, si trova, spesso, in condizioni diverse. E scopre, giocoforza, paesi diversi, diversi tipi di accoglienza, diversi tipi di lavoro. A volte ci si abitua, spesso ci si scontra, raramente ci si innamora.

Non tutti partono perché desiderano farlo. Molti non hanno scelta. Non perché ci sia una guerra, ma per pura e semplice carenza di opzioni. Alcuni lasciano l’Italia per migliorare le proprie condizioni di vita e magari si ritrovano a fare i lavapiatti, i camerieri o a tenere blog di cucina per ammazzare il tempo.

Alcuni trovano un lavoro qualificante, ma poi lo perdono, e non ne trovano più un altro. Allora ritornano, oppure no. Altri ancora riescono a fare carriera e allora si permettono il lusso di un certo snobismo verso il Paese che non ha dato loro le stesse possibilità. Ma forse, avessero anche solo cambiato città, restando in Italia, avrebbero trovato esattamente quello che stavano cercando.

Alcuni seguono il marito o la moglie professionista e si ritrovano davanti strade che mai avrebbero neanche immaginato, fossero rimasti. E dire che partire per loro era stato un sacrificio, una pena, uno sforzo.

Insomma, ci sono tante storie. Tutte diverse le une dalle altre, come sono diverse le persone che le vivono, diverso lo sguardo che poggiano sul mondo, diverso il modo che hanno di emigrare e di sentirsi emigrati.

Pubblicato su “La Stampa”, 18 Aprile 2014.

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