in Vivere altrove

Ho perso le parole

Ho perso le parole. Dico sul serio. Le ho proprio perse. Sono giorni, settimane, mesi che cerco nella testa gli aggettivi, i nomi, i verbi ed i pronomi per descrivere, in questo preciso momento, come mi sento, io che vivo altrove da anni, ma ancora sogno in italiano.

Ho perso le parole. Le cerco e non le trovo e non lo so, adesso, come faccio a raccontare il fastidio e l’ansia strisciante che mi prendono quando sto per rientrare in Italia per qualche giorno di vacanza. Il timore di non riconoscerla più, la terra che dà voce ai miei sogni, di non comprenderla più, tanto forte ed assordante si è fatto il tumulto collettivo della rabbia, delle grida e dell’odio.

Ho perso le parole e non riesco a trovarle. Tanta è l’incredulità per aver udito, al telegiornale presentare un atleta italiano in partenza per i campionati europei un “corridore di etnia africana” senza che un brivido corresse sulla schiena del giornalista, raggelandogli le ossa e fermandolo, prima che fosse troppo tardi. Erano le otto e dieci di una sera d’estate qualunque, ma potrebbe essere oggi o anche domani.

Ho perso le parole, ma se le avessi, cercherei di descrivere l’effetto che fa fare il bagno nel mar Mediterraneo e immaginarsi non più le murene o gli squali che ti attaccano, ricorrente incubo infantile, ma i corpi, i salvagenti, i gommoni, le grida.

Le parole per dire della bellezza lacerante dei paesaggi, dell’incanto dell’arte, della squisitezza dei sapori, degli atti silenziosi di gentilezza gratuita, dei laghi di montagna e dei gabbiani. Ho perso anche quelle, di parole, schiacciate fin dentro la gola dalla cattiveria, dal disprezzo per il prossimo, dall’arroganza, dal cinismo travestito da acume, dalla mancanza di quella che mia nonna, una ragazza del 1899, avrebbe chiamato, in un sussurro, “minima decenza”.

Ho perso le parole e non ne vado fiera.

Ormai da oltre un mese mia figlia ha iniziato le scuole medie, qui, al di là delle Alpi, e penso che chiederò a lei di trovarne di nuove, di parole, magari in un’altra lingua.

Pubblicato su La Stampa il 28/9/2018.

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