in Vivere altrove

Incubi ricorrenti

Sono arrivati una sera con una camionetta. Hanno suonato alla porta, come fossero postini. Li aspettavamo e vederli arrivare, dopo settimane di angoscia, era stato quasi un sollievo. Quasi. Hanno suonato e quando, un po’ esitanti, abbiamo aperto, ci hanno chiesto i documenti. Le divise erano tirate a lucido, le armi in bella vista. Senza guardarci negli occhi, quello che stava alla destra ci ha detto di prendere, veloci, qualche ricambio e ci ha ordinato di seguirli. 

Lo zaino era pronto in cantina da giorni. Cosa ti porti dietro, quando parti senza conoscere la destinazione? Mentre lo preparavo mi ero ricordata di alcuni ragazzi incontrati tanti anni prima all’aeroporto di Amburgo. Aspettavano di intercettare un biglietto aereo a buon mercato, di quelli che puoi acquistare a poche ore dalla partenza, direttamente all’imbarco. Un biglietto che li avrebbe condotti a Bangkok, Canberra, Helsinki, o Cape Town. Parlavano di tutte queste eventualità con la luce negli occhi. Io mi ero detta che non faceva per me, partire senza sapere per dove, per quanto tempo. Cosa avranno mai messo nello zaino, mi ero chiesta? 

Altri tempi. L’unica cosa che mi sembrava essenziale, ora, era il cellulare. Quando il mondo ti si chiude intorno con delle mura, conserva valore solo ciò che ti permette di attraversarle, fosse solo con una telefonata. 

La prima notte l’abbiamo passata in una caserma, la seconda in un accampamento militare in un posto imprecisato, la terza, nel Sud della Francia, nel campo di internamento dove saremo costretti a vivere fino al termine delle ostilità. 

Le righe che avete appena letto sono, evidentemente, frutto dell’immaginazione, ma si avvicinano abbastanza a quanto potrebbe accadere a me e alla mia famiglia se l’Italia entrasse in guerra con la Francia. La notte in cui la Francia, dove vivo, ha ritirato l’ambasciatore da Roma, io quassù (e mia mamma a Torino) abbiamo fatto un incubo molto simile. Perché le guerre iniziano sempre con delle tensioni diplomatiche, con l’alzarsi dei toni, con false narrazioni. E a volte la realtà scappa di mano.

Pubblicato su La Stampa l’8/3/2019

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