in Vivere altrove

Un confine poroso in un giorno di mercato

Sono in partenza per il Bangladesh. Un anno fa ero sul lago Albert, al confine tra l’Uganda e il Congo. Confine. “I confini muoiono e risorgono” scrive Claudio Magris ne Come i pesci il mare. “Si spostano, si cancellano e riappaiono inaspettati. Segnano l’esperienza, il linguaggio (…) la società con le sue divisioni, l’economia con le sue invasioni e le sue ritirate, il pensiero con le sue mappe dell’ordine”.

Confine è una parola che richiama un immaginario di barriere, controlli, fili spinati, muri, presidi. Talvolta invece, e in modo forse inatteso, un confine è una porzione di territorio non assegnata, distante dai centri politici ed amministrativi, sfuocata, un limbo che sfida protervo assurde cartografie. Una terra di nessuno.

Tra l’Uganda e il Congo, a nord del lago Albert, il confine ignora le frontiere e le loro ridicole sbarre e trascolora lentamente in una zona in cui nei giorni di mercato 20 mila persone si spostano, indifferenti alle linee di demarcazione tracciate sulla sabbia dai pescatori.

Tra l’Egitto e i Sudan c’è un altro piccolo fazzoletto di terra chiamato il “triangolo di Bir Tawil”, anche se ha una forma trapezoidale. Bir Tawil, che in arabo significa “pozzo alto” o “lungo”, è l’unica parte del pianeta Terra – ad eccezione di una zona dell’Antartide – che non è rivendicato da alcuno Stato. Un’altra anomalia. A guardare con attenzione ce ne sono un sacco in giro per il mondo.

Ma sto divagando, come sempre mi accade prima di un viaggio. Bangladesh, dicevo. Questa mattina un’amica traduttrice che sta lavorando ad un libro sugli stupri in Congo, mi ha chiesto: Come fai a tornare? Come superi ciò che hai visto?

La sua domanda ha avuto un effetto insolito. Ha dissolto ogni mia apprensione per i giorni che si preparano, costringendomi a mettere a fuoco il “dopo”, quel momento in cui non sei più fisicamente altrove, ma non sei ancora tornato a casa con la testa, con la pancia e con gli occhi. Ecco, dopo il Bangladesh sono certa che vivrò per qualche tempo dentro un’anomalia, una terra di nessuno, come se avessi attraversato un confine poroso in un giorno di mercato.

Pubblicato su La Stampa il 29/11/2019

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