in Vivere altrove

Un alfabeto della sopravvivenza

La scorsa settimana gli insegnanti di inglese di Giulia hanno invitato allievi e genitori a condividere impressioni e pensieri su questo incredibile periodo, sotto forma di racconti, versi, testi di canzoni. Il tema era “Attraverso la mia finestra”, dal titolo di un articolo uscito sul New Yorker a firma della scrittrice polacca Olga Tokarczuk.

Per un attimo ho pensato di cimentarmi anch’io, non foss’altro che per un senso di ritrovata comunità, ma davanti al foglio bianco mi sono scoperta a corto di parole.

Il tempo inventerà, ne sono certa, le parole giuste per catturare questo misto di smarrita inquietudine, quest’angoscia evanescente che si alza al mattino come nebbia nei boschi, questo senso di spavalda fragilità. Le lingue del resto sono prodigiose.

In finlandese esiste una parola, “sisu”, intraducibile in italiano, che mescola insieme tenacia, persistenza, determinazione e un’audacia non del momento, ma della durata. Una specie di forza ostinata cui attingere nelle lunghe notti d’inverno. Una via al coraggio quando non rimane che quello.

In giapponese esiste un’altra espressione, “shoganai”, che invita ad accettare ciò su cui non si ha controllo. Una sorta di fatalismo con cui guardare sviluppi inattesi. Un inno alla serenità, in qualche modo, che nasce dall’intima ammissione che in certi casi, accettare qualcosa di particolarmente doloroso o spiacevole è meglio che negarne l’esistenza.

In olandese esiste una parola “polder” che letteralmente significa “braccio di terra strappato all’oceano”. Dal Medioevo per evitare che questi preziosi appezzamenti venissero inghiottiti dal mare, uomini e donne hanno dovuto imparare a collaborare, malgrado avessero diversi orientamenti religiosi, politici e sociali. Con il passare delle epoche, il “polder” è diventato un modello di “cooperazione pragmatica nella differenza”.

In questa specie di alfabeto della sopravvivenza c’è una parola di cui mi sono letteralmente innamorata ed è “Tintinnabulation”: il suono di una campana che echeggia nell’aria fino a perdersi. Una parola, come le altre, che è quasi un augurio.

Pubblicato su La Stampa il 19/6/2020.

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