in Vivere altrove

Un lungo ringraziamento

Ho vissuto quest’anno horribilis altrove, in quella dualità permanente ed esistenziale che è la vita dell’emigrato. Mai come negli ultimi mesi ho sofferto la distanza, l’assenza, l’impotenza. Mai ho visto l’immagine del mondo così sfuocata. Mai il tempo mi è parso così interrotto e asincrono.

Abbiamo tutti voglia di passare ad altro, il prima possibile. Ricominciare a respirare a pieni polmoni, smettere di aver paura, ritrovare un baricentro. Ricostruire, laddove possibile. Eppure mi ritrovo a pensare che questo periodo impazzito meriti un po’ più di considerazione, prima di essere frettolosamente archiviato. Non foss’altro perché lo abbiamo attraversato.

Questo è dunque, per cambiare, un lungo ringraziamento. In primis a chi ha fatto il possibile per ridare senso alle cose, creando visioni, offrendo prospettive, sfondando l’orizzonte claustrofobico in cui il presente ci ha schiacciato, soffocandoci. Un grazie anche a chi ha mostrato spirito di abnegazione. Questa parola, che sa di antico, dovrebbe invece diventare la cifra di tutto ciò che ha anche solo la pretesa di dirsi futuro. Per la Treccani è: “dedizione disinteressata al bene altrui, spesso accompagnata da una consapevole rinuncia ai propri interessi”. Non a caso, il primo esempio è la cura del malato. Ringrazio chi accanto a me ha preferito l’ascolto al sospetto. Chi ha conservato lucidità, malgrado il carico di sofferenza, chi ha spiegato senza semplificare, chi ha riempito i vuoti con conoscenza e ragione. Sono regali preziosi con cui affrontare il 2021. Nella speranza che sia più lieve.

Pubblicato su La Stampa il 24/12/2020

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