in Diario dal Mozambico

Una domenica di giugno

Non è vero che in Africa la vita vale di meno. Non è vero che dove la morte è più probabile fa meno paura. Non è vero che ci si abitua al dolore e alla sofferenza, anche se te li ritrovi davanti tutti i santi giorni. Venerdì è morto il padre di Nordino, per gli amici Job. Domenica a Xipamanine c’è stato il funerale. La famiglia di Job è musulmana e così, prima della cerimonia, sono passata in moschea a prendere lo sche per la funzione. Nel cortile della moschea ci sono due alberi con su scritto “Felicidade”, un’officina meccanica per la riparazione degli chiapas e una fila di capretti urlanti in attesa della macellazione. Tutto in un unico cortile. Fuori uno dei barrios più poveri di Maputo, un mercato enorme, un labirinto di vicoli, sentieri, baracche tirate su poco importa come, purché ci sia un tetto. Per la strada gruppi di bambini, sudici come solo sanno esserlo i bambini mentre giocano. Sul muro di cinta gli slogan del disordine mondiale: Bin Laden, The Cure, Renamo Boys, w Roberto, a minha cerveja.

La cerimonia che conclude il lutto è riservata agli uomini. L’Islam funziona così. Lo sche, con i calzini, il turbante e la tunica di un bianco immacolato, raccoglie i presenti in una stanzino mentre la madrasta e le donne, fuori, aspettano. E io con loro mangio i biscotti a forma di metical che mi hanno offerto insieme al succo di frutta. Una scena composta, il profumo dell’incenso nell’aria, parole sussurrate, qualche abbraccio distante. Job prima della sepoltura ha dovuto lavare il corpo del padre e adesso sono due giorni che non dorme e si tormenta. “Sei stato coraggioso” gli faccio, mentre lo riaccompagno a casa.

In Mozambico non strisciano soltanto i mamba verdi, temibili serpenti detti “dei sette passi”, perché se ti mordono quello è quanto ti resta da vivere. Nel sottobosco metropolitano circolano, altrettanto insidiose, le fofocas. Che, malgrado l’apparenza, non sono mammiferi pelosi protetti dal Wwf, ma rumores o, se si preferisce, pettegolezzi. La vita politica, i rapporti familiari, le carriere professionali sono del tutto in balìa di feroci professionisti delle fofocas. Più reali della realtà, e certo non a rischio di estinzione, le dicerie condizionano successi o fallimenti, decidono presenze e assenze, ripartiscono ricchezze e privilegi, selezionano simpatie, mode e sfighe, sanciscono il lecito e l’illecito. Difficile sottrarsi a quanto stabilito da questo fittissimo controllo sociale. E’ la tua parola contro la loro, e la loro, non c’è niente da fare, in questo mondo vale di più. Un po’ come se lo avesse detto Maria de Filippi.

C’è una clinica a Maputo che si chiama Dente Feliz. Sarà, ma non mi fido. La domenica del funerale del padre di Job ho accompagnato un amico all’ospedale centrale. Si è distorto una caviglia e dunque gli hanno messo il gesso. Non è che ci siano molte alternative qui: o ti mettono il gesso o non te lo mettono. Non esistono, chessò, le bende elastiche, i tutori, le fasciature semi-rigide. No, qui dall’ospedale o esci con il gesso, che significa che hai qualcosa, o esci senza gesso. Che vuol dire che facevi finta.

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