in Diario dal Mozambico

Immagini e immaginario

Sono accaduti davvero fatti di sangue a Mocimboa?, mi scopro a pensare. I giornali ne hanno scritto per un paio di giorni o giù di lì. I commentatori più brillanti hanno perfino colorato gli scontri di una presunta sfumatura etnica che contrapporrebbe i Makonde e i Mwani, nulla aggiungendo, beninteso, alla reale comprensibilità dell’evento. Malgrado gli sforzi in me persiste, insidiosa, una specie di incredulità, un vago senso di sbigottimento, di dubbio, nutrito dalla totale mancanza di un supporto visivo. A disposizione solo le parole di Dengo, il logista, sfortunato testimone oculare. Nessuna televisione locale ha ripreso gli eventi. Nessun giornalista ha scattato foto per documentare gli incendi, i morti, i feriti. Mancanza di mezzi, difficoltà nei trasporti, forse addirittura un certo, comprensibile, pudore di fronte ai rigurgiti di una guerriglia che così poco si addice al protocollo di un Paese che il mondo vuole ormai lanciato a 1000 verso lo sviluppo. Eccolo qui, dunque, l’ennesimo ostacolo culturale: trent’anni di pane e Telegiornali, di caffelatte e Prima Pagina, mi hanno forgiato più di quanto non sospettassi e, lo ammetto, mi riesce difficile, se non impossibile, credere a qualcosa che non appaia, neanche per una manciata di secondi, sugli schermi tv. Fosse pure TVM, l’unica rete nazionale, le cui trasmissioni ricordano spesso le televendite di prodotti dietetici dei canali privati. Nella mia testa, a conti fatti, tra Katrina e Mocimboa da Praia non c’è proprio partita.

I ragazzi di Maputo si dividono in due categorie: quelli che portano i capelli rasta e quelli che si rasano la testa. La via di mezzo non esiste punto. Non ci sono, chessò, i capelli corti, o medi, o medio-lunghi. Non ci sono i “caschetti” e neppure la riga da una parte o le frange. I capelli o sono dreadlocks accartocciati in quegli strani cappelli bislunghi che ti fanno sembrare un parente macrocefalo di Barbapapà, o non ci sono. “Não cortei o cabelo… tirei!”, mi ha detto una volta Manyanga, accarezzandosi con un sorriso la pelata luccicante.

In Mozambico ci sono le capre, ma nessuno ne beve il latte e, soprattutto, nessuno fa il formaggio. Vuole la tradizione che chi mangia il formaggio è destinato a perdere la memoria. In compenso nei supermercati si trova la Vache qui rie.

Qualche sporadica nota linguistica: pipì si dice schi schi, mentre cocò è il resto. A quanto pare, tutto il mondo è paese. La chiocciolina degli indirizzi di posta elettronica, invece, si chiama semplicemente a roba, seguita da una breve, ma significativa, pausa di rispetto.

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