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La Svizzera vuole tirare su un muro

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La politica in Svizzera è spesso scandita dal ritmo dei referendum. Il prossimo, in programma il 24 settembre, è particolarmente cruciale in un Paese che, su 7 milioni di abitanti, conta oltre un milione e mezzo di stranieri, il 40 per cento dei quali provenienti dal continente africano. La consultazione deciderà se conservare o eliminare due leggi approvate dal Parlamento federale lo scorso dicembre in materia di diritto d’asilo e immigrazione.

La svolta radicalmente conservatrice e «protezionista» che i due provvedimenti legislativi hanno introdotto non poteva che accendere gli animi e mobilitare le coscienze di gran parte della società civile. Se per il sì si sono espressi i radicali, l’Unione democratica di centro e il Partito democratico-cristiano, a guidare la campagna per l’abolizione si è appositamente costituita la cosiddetta «coalizione per una Svizzera umanitaria» – che riunisce 36 organizzazioni, tra le quali figurano Amnesty International, l’Organizzazione d’aiuto ai rifugiati, Terre des Hommes e molte federazioni professionali e confessionali – e il Comitato 2xNON, sostenuto dal Partito socialista e composto da Verdi, Solidarité sans Frontières, Forum per l’Integrazione dei migranti e sindacati.

Limitandosi ai punti più dibattuti, la revisione della legge sul diritto d’asilo prevede la soppressione dell’aiuto sociale ai richiedenti, l’annullamento dell’ammissione per motivi umanitari, la riduzione a soli 5 giorni delle possibilità di ricorso in caso di rifiuto, il prolungamento fino a 2 anni del periodo di detenzione che precede il rinvio forzato (12 mesi per i minori tra 15 e 18 anni) e la possibilità da parte della Svizzera di prendere direttamente contatto con il Paese di origine del richiedente prima ancora di aver appurato se si tratti, o meno, di una vittima di persecuzioni e dunque, potenzialmente, mettendo a rischio di ritorsioni i familiari rimasti a casa. La nuova legge inoltre introduce la qualifica di NEM (non entrata in materia), e dunque l’impossibilità di accedere alla procedura di asilo, per i richiedenti che entro 48 ore non siano stati in grado di documentare la propria identità. Come hanno spiegato ai giornali Daniel Bolomey, segretario generale di Amnesty International Svizzera e Jürg Krummenacher, direttore di Caritas Svizzera, l’assenza di documenti è una condizione che dovrebbe essere indizio di persecuzione per chi scappa dal proprio Paese e non ostacolo al diritto di protezione. Posizione condivisa anche dall’Alto commissario Onu per i rifugiati e da diversi esperti di diritto umanitario.

Quanto alla legge sugli stranieri, essa inasprisce pesantemente le disposizioni e le concessioni dei permessi di lavoro, del ricongiungimento familiare e persino dei matrimoni misti, autorizzando funzionari civili a svolgere indagini approfondite sui coniugi, sospetti a priori di aver contratto un’unione di convenienza. Prima di concedere il cosiddetto permesso di domicilio C a uno straniero residente in Svizzera da 10 anni – procedura prima automatica – le autorità devono ora, per esempio, prendere in considerazione il suo «grado d’integrazione». Le nuove disposizioni, lamentano associazioni e comitati d’opposizione, creano soprattutto un fossato tra immigrati di prima classe, di provenienza europea, e immigrati di seconda classe, originari di paesi terzi. Questi, esclusi dagli accordi di libera circolazione delle persone, sono soggetti a quote e il loro ingresso è consentito solo se risponde all’«interesse dell’economia svizzera».?

Pubblicato su «Vita non profit» il 22 settembre 2006

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