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No alle scuole ghetto. Intervista a Norberto Bottani

cover.jpgRicercatore di fama internazionale nel campo dell’istruzione e delle politiche scolastiche, già direttore di ricerca nel settore dell’istruzione dell’Ocse, Norberto Bottani è autore di moltissimi saggi, di cui due notissimi in Italia: La ricreazione è finita e Professoressa, addio. Vita lo ha raggiunto a Parigi, dove vive, chiedendogli un parere sulle recenti tendenze della scuola italiana.

Vita: Gli alunni stranieri in Italia quest’anno saranno più di 580mila, cioè il 6,2% della popolazione scolastica. Come commenta questi dati, e l’allarmismo che ne è conseguito, alla luce di altre realtà europee?
Norberto Bottani: Il 6% sul totale della popolazione scolarizzata è una percentuale bassa se comparata alle medie di Gran Bretagna e Germania, attestate ben al di sopra del 10%. Per non parlare di Svizzera, Belgio o Lussemburgo, che sono sul 20-27%. L’allarmismo italiano è del tutto ingiustificato, non nasce da un dato di fatto ma dall’impreparazione a fronteggiare un fenomeno che è solo all’inizio e che tutta Europa sta affrontando. Detto ciò, le cifre globali non sono rilevanti di per sé: occorre scorporarle per scoprire cosa significano, considerando, ad esempio, la distribuzione degli studenti sul territorio nazionale, che è tutt’altro che uniforme. Inoltre andrebbe considerata la storia scolastica degli allievi: se hanno frequentato l’asilo e le elementari in Italia di straniero, per la scuola, non hanno che il passaporto. E nelle statistiche svizzere, ad esempio, questi allievi non sarebbero considerati stranieri. Inoltre sarebbe auspicabile classificarli per gruppi di origine, chiedendosi che lingua parlano in famiglia, che cultura masticano, qual è il concetto di autorità che portano. E infine, tutti gli interventi devono basarsi su analisi fatte sul campo, non su congetture. In una ricerca commissionata dall’Ocse nel 2005, sulle competenze matematiche dei quindicenni in Piemonte, contrariamente alle aspettative, è venuto fuori che gli stranieri che a casa parlavano italiano non avevano migliori risultati di chi invece parlava un’altra lingua.

Vita: Per la prima volta in Italia si sta discutendo di rivedere i curricula in ottica interculturale. Cosa ne pensa?
Bottani: Per principio sono contrario ai programmi educativi interculturali, così come agli indirizzi multiculturali delle discipline classiche. A mio avviso si tratta di scelte ispirate a una cultura romantico-moralistica ingenua, il risultato è un’astrazione che tranquillizza le coscienze ma che è del tutto slegata dalla realtà. Negli anni 60 e 70 il Consiglio d’Europa era molto impegnato su questo fronte, ma con esiti che si sono rivelati paradossali. Penso ai manuali di intercultura che il governo turco aveva diffuso a Berlino per la comunità espatriata, a maggioranza curda: insegnavano una storia e una cultura del tutto estranee alla minoranza in questione. Il rischio dell’intercultura è quello di ridurre un Paese alla sua gastronomia, ai canti, al folklore e di imporre un’identità fasulla e stereotipata.

Vita: Quale alternativa propone?
Bottani: Una soluzione unica non c’è. Deve però essere chiaro che l’obiettivo della scuola è occuparsi degli alunni “in difficoltà”, che non sempre sono quelli stranieri, facilitandone il reinserimento nel ritmo scolastico medio, colmando i ritardi e le lacune dell’apprendimento. I problemi di “coesione sociale” sono culturali e non è compito della scuola affrontarli: evitiamo di chiedere alla scuola cose che non sa fare. In Europa, l’Italia vanta il più alto numero di insegnanti per alunno e – almeno per la primaria – un costo pro capite per alunno fra i più elevati: si potrebbero utilizzare queste risorse per interventi mirati sulla popolazione di fresca immigrazione o su chi è in difficoltà.

Vita: Come convincere i genitori italiani a non disertare gli istituti a forte concentrazione di stranieri?
Bottani: Gli istituti ghetto sono il risultato della convergenza fra la libertà delle famiglie di scegliere le scuole e quella delle scuole di scegliere le famiglie. Il fenomeno c’è anche in Belgio e in Inghilterra; in Italia risale al 1997, quando si decise di smantellare i “bacini di utenza” che regolavano le iscrizioni a scuola in base alla residenza. Questi bacini vanno ripristinati, magari prevedendo, come in Francia, i casi specifici in cui l’allievo è autorizzato a scegliere un’altra scuola. Solo così la scuola pubblica può sperare di essere giusta, equa, amichevole ed efficiente.

Pubblicato su «Vita», sabato 8 settembre 2007.

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