Mettiamo che tu sia un elettrodomestico. Un ferro da stiro, un’aspirapolvere, un rasoio elettrico. Poco importa, fai tu.
Mettiamo che, per un motivo o per un altro, d’un tratto, ti ritrovi imballato in una scatola. Potrebbe essere persino la tua confezione originale, ma cambierebbe poco se anche si trattasse di un anonimo scatolone di cartone marron. Così, scocciato e impacchettato, mettiamo che tu venga spedito. Via. Altrove. Lontano. In un appartamento, in una città, in una qualche altra nazione del mondo.
Una domenica mattina di pioggia riemergi, infine, dal buio. Ti stropicceresti gli occhi con le mani, se solo li avessi. E tireresti anche un lungo respiro di sollievo, constatando che non ti sei perso per strada e non ti sei rotto nel trasporto. Sei ancora tutto d’un pezzo e te ne rallegri. In quest’altra parte del mondo la vita ti sorride. Il tuo regno è luminoso e pulito e profuma di nuovo. I suoni che ti circondano sono cambiati. Il frigorifero è più rumoroso, il vicino suona il pianoforte, le scale di legno scricchiolano e le imposte sbattono quando c’è vento forte. Ma che sarà mai. Ci si adatta.
Adattarsi. Ecco la chiave di tutto, penseresti, se solo sapessi pensare. La tua nuova vita di elettrodomestico, dipende infatti, in tutto e per tutto, da un adattatore. Uno strano oggetto, che ti hanno appiccicato addosso il primo giorno e che ti permette di funzionare nelle nuove prese. L’adattatore ti aggiunge (o ti toglie) qualcosa. Dipende dai punti di vista. È piuttosto pratico, perché grazie a lui eviti di morire a causa di un corto circuito e funzioni a dovere, ma è, a tratti, scomodo. Una specie di zavorra, che ti rende più impacciato rispetto agli elettrodomestici “nativi” che scivolano leggiadri nelle prese, senza troppi pensieri.
Un elettrodomestico. Una presa. Un adattatore. Una vita altrove. Magari…